La sistemazione delle frane della Costiera Amalfitana
Notiziario forestale e montano - Giugno 1961 n. 90
Scopo di questa pubblicazione è quello di illustrare la tecnica con cui si stà procedendo alla sistemazione del C.B.M. della «Costiera Amalfitana», sottobacino Reginna Major, ove nell'ottobre del 1954 si verificò, nella forma più violenta, la catastrofica alluvione, che tanti lutti e danni arrecò alle popolazioni della zona.
A distanza di sette anni, malgrado le imponenti e grandiose opere di sistemazione di fondo valle realizzate, con larghezza di mezzi, dal Genio Civile di Salerno, con i fondi messi a disposizione dalla Legge 9-4-1955, n, 279, il bacino presenta tuttora evidenti le enormi ferite apertesi sulle sue pendici a seguito della famosa alluvione.
Solo però nel 1959, con i primi finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno, si è dato inizio alla sistemazione montana vera e propria, eseguendo così, per forza di cose, in due tempi una sistemazione che invece avrebbe dovuto avere inizio contemporaneamente, perchè soltanto da un coordinato esame sarebbe stato possibile determinare Insieme delle opere realizzate.
Prima, comunque, di entrare nella descrizione della tecnica sistematoria adottata nella parte di competenza foresta e, si ritiene necessario premettere una descrizione, sia pure sommaria, del bacino, in quanto i1 suo esame ci consentirà di determinare le cause delle frane, i mezzi più idonei per sistemarle ed il modo di prevenire nuove calamità.
Il bacino del Torrente Reginna Major fa parte, come già accennato, del Comprensorio di bonifica montana della Costiera Amalfitana, recentemente classificato con decreto presidenziale n, 337 del 3-4-1960 e del quale presenta le stesse caratteristiche orografiche, geopedologiche e climatiche.
Esso ha la forma di un ampio ventaglio, contornato da rilievi montuosi, con quote oscillanti intorno ai 1000 metri s,l,m, da cui discendono in forte pendio una infinità di valloni e valloncelli che, a sud dell'abitato di Polvica (Comune di Tramonti) si riuniscono per dare origine al torrente vero e proprio denominato «Reginna Major», il quale ricevendo lungo il suo corso i numerosi affluenti di destra e di sinistra, sfocia, dopo aver attraversato la cittadina di Maiori, direttamente nel mare Tirreno.
Geologicamente l'intero bacino è costituito da un'ossatura formata da calcari e dolomie, generalmente compatti, ma abbastanza permeabili per le molte fessurazioni e fratture, su cui poggia un terreno di natura vulcanica, di formazione eolica (ceneri, lapilli e scorie) molto incoerente e facilmente preda delle acque piovane. Le piogge, pur essendo concentrate per la massima parte nel periodo autunno inverno, sono abbastanza elevate tanto da consentire, nella parte bassa del bacino, la coltura dei rigogliosi limoneti con il solo ausilio di qualche irrigazione di soccorso.
In media la piovosi annua si aggira intorno ai 1500 mm.., mentre la temperatura minima raramente discende al di sotto dello 0°.
Forestalmente il bacino rientra, per la parte costiera, pedemontana e di media collina, nelle tre sottozone (calda, media e fredda) del lauretum e per le cime più elevate del sistema montuoso, nel castanetum - sottozona calda II tipo.
I boschi formanti complessi abbastanza estesi, anche se appartenenti a diversi proprietari, sono generalmente costituiti da cedui semplici o misti di Castagno, di Ontano napoletano, di Quercia, di Frassino, di Orniello, di Carpino, ecc.
La coltura agraria è sufficientemente rappresentata e notevole sviluppo ha anche, come già accennato, la coltivazione degli agrumi, per la quale i proprietari, nelle zone in pendio; sistemano il terreno a ripiani sostenuti a valle da muri, costruiti con materiale a secco contenuto da pilastri in calcestruzzo; così facendo raggiungono, con spesa relatIvamente modesta, altezze notevoli e una buona stabilità e muro stesso.
E' scarsa invece a superficie destinata a prato ed a pascolo ed in ciò bisogna ricercare uno dei motivi del grave dissesto idrogeologico dell'intero bacino, Per far fronte alle necessità zootecniche, gli agricoltori ricorrono costantemente ai boschi, già gravati da un irrazionale sfruttamento per la produzione di fasciname occorrente per la copertura degli agrumi, asportandone rami e cimali durante tutte le stagioni e nel periodo invernale finanche il fogliame per lettiera.
Da quanto sommariamente esposto risulta evidente che il dissesto idrogeologico, inteso in tutto il bacino, è da attribuirsi alle seguenti cause principali:
1) alla rilevanza delle precipitazioni;
2) alla notevolissima acclività delle pendici;
3) alla natura geopedologica dei terreni;
4) alla natura ed alla irrazionale utilizzazione dei boschi esistenti.
Per quanto riguarda la prima delle suddette cause è da porsi in rilievo la particolare configurazione orografica del bacino, che con le sue alte cime, a non più di 4-5 Km, dalla costa, costituisce un baluardo alle correnti atmosferiche provenienti da Est, da Sud e da Ovest, creando una forte condensazione di vapori nella limitata zona antistante, con conseguenti notevoli precipitazioni. La massa d’acqua, che cade a causa del fenomeno precedentemente descritto, precipita immediatamente nel fondo valle, per eccezionale acclività dei versanti e per la natura geopedologica del terreno.
Infatti, nella zona, si notano numerosi rilievi, con quote assai elevate, le cui pendici sono solcate da innumerevoli corsi d'acqua, che con percorso brevissimo, confluiscono negli alvei principali, convogliando le acque nel bacino d'impluvio in tempi di corrivazioni estremamente brevi. Da rilievi eseguiti in alcuni versanti è stata riscontrata una pendenza anche superiore al 100%; in media nelle zone franate la pendenza oscilla dall'80 al 90%, Altro fattore con corni tante che accentua il disordine idrogeologico è dato naturalmente dalla natura del suolo che, come già si è fatto cenno, è costituito da materiale vulcanico, leggerissimo e molto sciolto e quindi facilmente asportabile dalle acque superficiali.
A queste tre predominanti cause del dissesto è fuori di dubbio che il soprassuolo vegetale offra un'azione mitigante, ma, tenendo conto che i cedui ivi esistenti sono in parte degradati, per un complesso di ragioni d'origine economica e culturale, si comprende come il bosco non possa costituire una difesa tanto valida quale in genere viene ad esso attribuita.
Anzi, in un certo senso, per il modo irrazionale con cui viene utilizzato, il bosco è causa diretta del disordine idrogeologico, poichè i continui tagli e l'asportazione per strascico, del materiale legnoso lungo le linee di massima pendenza, origineranno le prime incisioni del suolo, che, non rimarginandosi, perchè anche il fogliame viene continuamente raccolto, creano le condizioni di instabilità dei versanti, che in occasione di piogge abbondanti, franano per notevoli superfici.
Altro motivo della instabilità delle pendici è stato ricercato nella trasformazione dei boschi cedui misti di Leccio, Roverella, Castagno e di altre specie adattate alla natura del suolo, in boschi puri di cedui di castagno, che per la insofferenza al calcare non avrebbe creato un sufficiente ancoraggio tra il terreno vegetale e la roccia sottostante.
Pur non negando l'azione deleteria prodottasi attraverso il tempo con la trasformazione di cui sopra è da mettere in evidenza tuttavia che le frane non si sono verificate soltanto nei versanti ricoperti da cedui di castagno, ma anche in quelli popolati da Roverella e Leccio; se le zone di Castagno hanno dato origine ad un maggior numero di frane, il motivo è da ricercarsi più nella natura del terreno che nel tipo di soprassuolo che ospita.
Infatti, mentre il Leccio e la Roverella vegetano generalmente in terreni superficiali e quindi abbastanza stabili, il Castagno si è insediato in terreni più profondi, frammisti a strati di palillo e più facilmente soggetti a franamenti.
Il carattere eccezionale della precipitazione verificatasi il 25 ottobre del 1954 ha ancora una volta, messo in evidenza la precarietà della situazione idrogeologica non solo nella zona del perimetro in esame, ma in tutta l'intera Costiera Amalfitana.
Infatti, a seguito di tale alluvione, si è verificata una serie considerevole, di frane come numero e come estensione, solcate da burroni più o meno profondi, causate dall'insieme delle precarie condizioni precedentemente illustrate. Tali frane hanno determinato un'eccezionale apporto di materiali solidi, che, convogliati nella asta principale del torrente, hanno provocato i noti luttuosi eventi degli abitati che attraversa.
INTERVENTI SISTEMATORI
Dalle considerazioni precedentemente esposte è facile dedurre che, pur non potendosi agire sull'orografia del terreno e sul carattere delle precipitazioni, l'azione da svolgere per evitare il ripetersi dei fenomeni frano si, è di duplice natura: idraulica, con il disciplinamento delle acque superficiali; colturale, con la razionale utilizzazione di boschi.
Che sia stata l'eccessiva acclività dei versanti, instabili per la natura del terreno e per la irrazionale utilizzazione dei boschi, a dar luogo ai fenomeni sopra lamentati è dimostrato anche dal fatto che nelle zone in cui il terreno è stato sistemato in tanti ripiani, con opportuni muri a secco od anche con semplici ciglioni erbati, per l'insediamento delle colture agrarie (seminativi, agrumeti e vigneti), i fenomeni franosi e di burronamento sono stati contenuti o fortemente ridotti.
Tralasciando la sistemazione valliva, già quasi completamente realizzata dal Genio Civile e sulla quale, nelle conclusioni, sarà fatta qualche considerazione, si passa alla descrizione delle opere fino ad ora realizzate nelle zone franate.
Le frane provocate dal nubifragio sono dovute a cause di diversa natura ,ed il problema della loro sistemazione si presenta sotto aspetti differenti.
A volte, il franamento ha messo quasi a nudo, sull'intera superficie, la roccia sottostante, oppure, abbattuto li manto arboreo, ha lasciato il terreno vegetale solcato da burroni più o meno profondi.
In tutti i casi ha determinato uno strato di precarietà e di instabilità in tutte le zone circostanti, creando le premesse a successive frane. Chiarita la natura delle frane e le cause che le hanno determinate, le opere progettate e tuttora realizzate hanno mirato essenzialmente al consolidamento dei versanti ed al disciplinamento delle acque superficiali, mediante l'impiego dei normali mezzi sistematori: traverse, gradoni, muretti a secco, ciglioni erbati e graticciate, a secondo della zona e della natura del terreno, onde mantenere in sito la terra non ancora asportata TRAVERSE: Nelle zone in cui le frane hanno creato dei burroni profondi formando degli impluvi veri e propri e dove il conguagliamento del terreno è risultato tecnicamente impossibile ed economicamente non conveniente, si è proceduto alla costruzione di traverse in muratura e malta cementizia col duplice scopo di consolidare il letto del burrone e di creare l'appoggio di base per la sistemazione delle pendici relative.
Le traverse in genere sono state realizzate di modeste altezze perché il loro compito è soltanto quello di consolidare il fondo e naturalmente le pendici, la funzione di trattenuta del materiale franato o in via di franamento, è stata affidata alla sistemazione estensiva, che come sarà detto successivamente ha funzionato in modo superiore ad ogni aspettativa.
GRADONI: Costruiti in numero di circa ml. 3000 per ettaro, della larghezza media di cm. 80 la quantità quasi doppia a quella comunemente impiegata nei normali rimboschimenti è dovuta alla necessità di disciplinare e quindi ritardare il deflusso delle acque) sono stati realizzati seguendo, naturalmente, l'andamento delle curve di livello e contropendenza a monte del 20-30%.
Nelle zone in cui il suolo, costituito da detriti calcarei frammisti a terreno vegetale e quindi non proclive a franamenti, i gradoni sono stati realizzati con la comune tecnica e cioè con il ciglione a valle sostenuto da pietrame raccolto sul posto o semplicemente con terra battuta.
Dove il terreno vegetale è frammisto ad elementi incoerenti (ceneri, lapilli ecc.), è stato necessario ricorrere al consolidamento a valle con piote erbose: creando così in molti casi dei veri e propri ciglioni erbati.
MURETTI A SECCO: In genere realizzati di altezza non superiore a un metro e con scarpa a valle sono stati largamente impiegati per consolidare il piede delle pendici franate ed in tutti i fossi più o meno profondi per consolidarne il fondo, le sponde e trattenere il materiale di avanzo proveniente dallo scoronamento e dal conguagliamento delle pendici soprastanti.
Per meglio garantirne la stabilità e la durata, ad eccezione naturalmente nei fossi e nei rigagnoli ove si ha scorrimento di acqua, i muretti a secco sono stati anche ricoperti da uno strato di piove erbose dello spessore di 15-20 cm. Analogo strato è stato anche formato, nelle zone in forte pendio, a valle dei muri a secco onde evitarne lo scalzamento.
GRATICCIATE: Sono state costruite, intercalate ove si è reso necessario e possibile anche con muretti a secco, nelle zone in cui il terreno si presenta incoerente (lapilli, cenere ecc.) e dove perciò la costruzione ai gradoni o di soli muri di pietrame a secco sarebbe stato oltremodo oneroso e difficile per il continuo franamento delle particelle terrose.
Le graticciate, inizialmente costruite con solo materiale morto (paletti di castagno della lunghezza di un metro, conficcati nel terreno per 30-40 cm. alla distanza di 60-70 cm. l'uno dall'altro, intrecciati trasversalmente con un numero di 7-8 file di pertichini) sono state successivamente rivestite, per circa la metà dell'altezza fuori terra, con uno strato di piote erbose.
Ciò per sostituire parzialmente al materiale morto (paletti e pertichini) del materiale vegetante che, con il passare del tempo, assolva le funzioni di un vero ciglione erbato, e consolidi con la sua fitta rete di radici, nel minor tempo possibile, il terreno stesso.
L'introduzione del citato accorgimento, i cui ottimi risultati già possono constatarsi, non ha alterato il costo unitario dell'opera, in quanto la spesa per il ricavo e il trasporto delle piote erbose è stata compensata dalla riduzione della quantità del materiale da intreccio.
Data la notevole pendenza dei versanti, sempre superiore all'80%, e la natura estremamente incoerente del terreno e la necessità che ciascun filare di graticci sostenga un ripiano perfettamente orizzontale che serva di base per il successivo, per ogni unità di superficie si è reso indispensabile l'impiego di 10-15 mila metri lineari di graticciate.
L'elevato costo per metro lineare ha limitato l'impiego delle graticciate soltanto nelle zone più acclivi, in quelle meno in pendio, i banchi di lapillo rinvenuti sono stati semplicemente consoli dati al piede mediante la costruzione di opportuni muretti a secco, lasciando poi alla semina di foraggere e di ginestre ed alla natura stessa il completamento dell'opera di rinsaldamento.
Le opere tutte, a circa un anno dal loro inizio, senza naturalmente che si sia creato quell'indispensabile consolidamento che solo il tempo può operare e malgrado le abbondanti e persistenti piogge della stagione invernale trascorsa, hanno dato risultati superiori ad ogni aspettativa.
Nessun franamento o smottamento si è verificato nelle zone sistemate, mentre cedimenti di entità anche notevole si sono avuti nelle pendici apparentemente salde.
Il motivo di quanto sopra è da ricercarsi prima di tutto nella razionale progettazione delle opere, scaturita da un lungo ed analitico studio delle condizioni geopedologiche e climatiche innanzi esposte, e dalla perfetta loro esecuzione: concetto fondamentale, da non trascurarsi, e che ogni opera sia bene appropriata al tipo di terreno da sistemare ed eseguita perfettamente orizzontale, seguendo le curve di livello e ciò per favorire il lento deflusso delle acque piovane.
La bontà dei risultati è confermata anche dal fatto che gli enormi apporti di materiali solidi, per contenere i quali, l'Ufficio del Genio Civile di Salerno dette inizio, subito dopo l'alluvione, alla costruzione di grosse traverse dI trattenuta, si sono enormemente ridotti, naturalmente nei versanti sistemati.
Ciò conferma e chiarisce la riserva espressa in merito alla inopportunità di eseguire la sistemazione montana dopo quella valliva. Se è vero che le opere di fondo, normalizzando il pendio del torrente, servono anche a creare la stabilità dei versanti, è pur vero che la sistemazione delle pendici, con la regolarizzazione delle acque superficiali ed il trattenimento in sito del materiale erodibile, può meglio determinare la natura e la qualità di esse e nel contempo garantirne la funzionalità.
Per la scarsità di fondi messi a disposizione, i primi interventi hanno interessato soltanto parte delle zone franose; nelle altre, che pur si presentano con i versanti instabili e facilmente soggette a frane superficiali e di scivolamenti più o meno profondi, nessuna opera di difesa è stata effettuata, né se ne prevede la realizzazione nel prossimo futuro.
Il consolidamento delle predette pendi ci si rende necessario per la salvaguardia dei terreni agrari sottostanti e maggiormente per l'incolumità degli abitanti stessi. Pertanto nella compilazione del Piano generale di bonifica, che il costituendo Consorzio del Comprensorio di Bonifica Montana della Costiera Amalfitana, dovrà presentare all'approvazione Ministeriale sarà opportuno tener conto dell'attuale stato di precarietà, che si riscontra anche in altre zone del comprensorio, progettandone le opere di consolidamento da eseguire, unitamente ad una idonea rete stradale.
Completata l'opera di sistemazione nel modo innanzi descritto, si è proceduto, durante il periodo invernale, al rimboschimento delle pendici mediante la semina diretta di Pini mediterranei e con la piantagione di Ontano napoletano, Carpino nero, Orniello e Pino nero.
L'impiego delle predette specie è stato subordinato alla natura, all'esposizione ed alla quota a cui è situato il terreno.
Nelle zone più basse del bacino, la preferenza è stata data al pino d'Aleppo: nelle parti più alte la scelta è andata naturalmente al pino nero, mentre nei terreni situati a media altezza si è ricorso al pino domestico e marittimo, escludendo quest'ultimo dalle zone calcaree. In tutti i casi le conifere sono state intercalate da piantine di latifoglie preferendo, ove possibile, lontano napoletano che già naturalmente si trova insediato su alcune frane.
E' stata esclusa la piantagione del castagno, per le ragioni che saranno illustrate in seguito.
Attualmente sia e semine che e piantagioni si presentano in ottimo stato vegetativo; tuttavia e ancora presto per poter indicare quali specie hanno dato i migliori risultati.
INTERVENTI COLTURALI: Poiché causa di frane è anche la irrazionale utilizzazione dei boschi, nel chiudere queste brevi note, si ritiene opportuno mettere in evidenza il loro stato vegetativo, le cause della degradazione e le opere di miglioramento e colturali che si rende necessario intraprendere per evitare il ripetersi di luttuosi eventi.
Come già accennato i boschi sono governati a cedui puri o misti di Castagno, di Ontano napoletano, di Querce, di 'Frassino, di Orniello ecc., col duplice scopo di ricavare pali e frascame, per la copertura degli agrumeti e fogliame e frascame per la lettiera e la alimentazione del bestiame.
Naturalmente, poiché tra le specie suddette, il castagno è la pianta che meglio si presta alle esigenze della duplice produzione, i proprietari, attraverso frequenti tagli delle specie poco desiderate e la scelta delle rnatricine, hanno operato una continua modificazione della composizione del soprassuolo a favore del castagno, alterando inopportunamente un soprassuolo naturale che meglio avrebbe assolto alla difesa idrogeologica.
I predetti boschi, a termine delle «Prescrizioni di Massima», vigenti in provincia di Salerno, dovrebbero essere sottoposti ad un turno di taglio variabile dai 12 ai 15 anni.
In effetti i proprietari si attengono alle predette norme, ma eseguono per tutta la durata del turno, intensi tagli di sfollo e di potatura, che portano alla continua degradazione del soprassuolo stesso e conseguentemente a quella del terreno.
Naturalmente la raccolta del fogliame completa l'opera di degradazione, anziché favorire con i suoi accumuli, il conguagliamento delle varie incisioni che si formano nel terreno con il continuo strascico del materiale legnoso.
Da ciò ne consegue, che pur lasciando immutati i turni dei tagli finali, dovranno essere meglio disciplinati quelli di sfollo e le potature. Per quanto riguarda le operazioni di sfollo, eseguite generalmente nei soli cedui puri o misti di castagno, esse non dovrebbero in nessun caso essere più di due: la prima al terzo o quarto anno e la seconda al settimo o ottavo anno.
La pota tura invece non dovrebbe mai superare il terzo inferiore dei polloni, quantunque le «Prescrizioni di Massima» consentono di raggiungere i due terzi della loro altezza, ma i proprietari, spesso, la spingono fino al cimale.
Dovrà assolutamente essere proibita la raccolta del fogliame, come pure dovrà vietarsi lo strascico del materiale legnoso.
Per far fronte alle necessità zoo tecniche sarà opportuno favorire, anche con la concessione di contributi statali, la trasformazione a coltura foraggera di tutti quei boschi non eccessivamente in pendio, con l'obbligo da parte dei proprietari di eseguire la sistemazione del suolo mediante ripiani sostenuti a valle da ciglioni erbati, di altezza non superiore ad un metro, che assolvono abbastanza bene alla difesa idrogeologica delle pendici.
Nei boschi non trasformabili ed in considerazione anche del fatto che i cedui di castagno sono fortemente attaccati dal cancro corticale, si ritiene opportuno un loro miglioramento mediante l'impiego di conifere mediterranee e anche del Pino strobo. Per quest'ultima specie l'Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Salerno eseguirà le prove nel prossimo autunno, con l'impiego delle prime piantine che verranno in produzione dai suoi vivai.
Antonio SPINIELLO
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