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L’ITALIA FORESTALE E MONTANA

RIVISTA DI POLITICA, ECONOMIA E TECNICA
ANNO VII - NUMERO 3- - MAGGIO-GIUGNO 1952

I bacini montani.

L’evoluzione dei provvedimenti disposti in Italia a favore della montagna viene diffusamente descritta nel presente articolo: dalle disposizioni emanate con la legge del 1877 alle provvidenze contenute in quella del 1923; da//a bonifica integrale ai cantieri di lavoro e di rimboschimento, alle leggi sulla Cassa per il Mezzogiorno e sulle aree depresse, fin o alla emananda legge a fa­vore dei territori montani. In questa ampia disamina, l’autore parte dal concetto di bacino montano per arrivare a quello più appropriato di comprensorio di bonifica montana, intrattenendosi sugli aspetti fisici ed economici della montagna italiana..

I bacini montani: espressione che comunemente ricorre nell’esame dei vari problemi, che Interessano la nostra montagna, sopratutto quando vogliamo riferirci al dissesto idrogeologico di essa.

Una parte quindi per il tutto.Né d’altro canto abbiamo la possibilità di usare altra espressione più propria, come quella di « Montagna », in quanto questa, sia nei riflessi statistici di regione agraria,avrebbe un significato o troppo vasto o tendente a particolari fini o comunque non adeguato.

La necessità di circoscrivere nello spazio, in una visione più limitata, il dissesto della nostra montagna, nei confronti idrogeologici, allo scopo di poter meglio approfondire lo studio delle cause e dei mezzi da impiegare per porvi rimedio, in­dusse il legislatore ad inserire per la prima volta, nel T.U. 1° Marzo 1912 n. 442, con un preciso si­gnificato giuridico, il concetto di <<bacino mon­tano>>.

Concetto quindi ristretto a determinate zone, dalle quali, per essere le più alte dei bacino idro­grafico, hanno inizio il ruscellamento ed il burronamento, le cause prime cioè dello sfacelo della montagna.


Ing. Alberto Camaiti

Ispettore superiore del Corpo forestale.

È indubbio che tale concezione rappresenta una evoluzione rispetto alla legge del 1877, ema­nata unicamente per la difesa del bosco oltre il limite superiore della zona del castagno. Essa tende a sostituire ad una politica forestale meramente passiva una serie di interventi attivi, consistenti però solo nei rimboschimento e nel rinsaldamento dei terreni nonché nella esecuzione di opere ac­cessorie per la correzione delle aste dei torrenti.

Ispirandosi alla necessità istintiva della difesa del suolo dall’impeto delle acque, ma limitandosi ad una visione unilaterale del problema, prescinde dall’accurata disamina delle conseguenze di natura economica e sociale derivanti dal dissesto stesso.

Ben presto pero ci si avvide che, per ridar vita ad una montagna morta o in procinto di morire, per porre un argine al suo spopolamento, per far si - in altri termini - che l’economia della montagna, alla quale non poteva e non può certo rinunziarsi, fosse effettivamente anche il necessario complemento di quella più ricca della pianura, non bastava rimboschire e rinsaldare i terreni, non era sufficiente imbrigliare i torrenti. Occorreva anche tendere al miglioramento delle altre colture possibili in montagna oltre quella silvana.

Venne cosi emanata la legge 6 maggio 1915 n. 589 per il miglioramento dei pascoli montani. Ma solo con la legge 30 dicembre 1923 n. 3267 si ebbe finalmente sancito, sia pure ancora in for­ma incompleta e frammentaria, il coordinamento non tanto fra bosco e pascolo, già stabilito con la legge del 1915, ma anche fra bosco e culture agra­rie di montagna. Si cercò quindi di realizzare quel­la concezione più unitaria della difesa del suolo, della regimazione delle acque e del miglioramento economico dell’ambiente montano, che, già apparsa precedentemente in alcune leggi speciali (per la Basilicata e per la Calabria, per il bacino del Sele, per la Sardegna e per le provincie Pugliesi), si era dimostrata suscettibile di risultati pratici molto lusinghieri.

Nella logica, progressiva evoluzione dell’in­tervento statale in favore delle zone ad economia più depressa si affermò in seguito, con la legge del 13 febbraio 1933 n. 215, il concetto di « Bonifica Integrale », oggi comunemente accettato nella de­finizione che di essa fornisce anche l’art. 857 del Codice Civile.

In virtù di tale legge la sistemazione del ba­cino montano venne ad inserirsi in quel più vasto complesso di opere le quali, compiute in base ad un piano organico di lavori e di attività coordi­nate, tendono ad una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo di un dato territorio con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici e sociali.

Data però la complessità e la particolare natura dei problemi, che si agitano per la montagna, la legge sulla Bonifica Integrale si rivelò ben presto non adeguata a risolverli nella loro interezza, men­tre i problemi stessi col procedere del tempo an­davano aggravandosi in conseguenza degli eventi bellici e post bellici, che tanto hanno contribuito a peggiorare le condizioni della sua non certo florida economia.

Ne è conseguita quindi la necessità di con­centrare nella montagna maggiori sforzi atti a ri­sollevarne le sorti.

Un primo passo tendente a questo scopo, so­prattutto nei riflessi economici e sociali, è la legge 29 aprile 1949 n. 264 sui cantieri di lavoro e di rimboschimento.

Si hanno successivamente le leggi 10 agosto 1950 n. 646 e 647, nelle quali si prevedono gli in­terventi di carattere straordinario per opere pub­bliche rispettivamente nel Mezzogiorno (Cassa per il Mezzogiorno) e nel centro-Nord (aree de­presse). Detti interventi di carattere straordinario sono diretti in modo specifico al progresso economico e sociale. Fra questi quindi non poteva non rientrare la sistemazione dei bacini montani, il cui significato e la cui estensione però rimangono invariati rispetto alla precedente legislazione.

Malgrado queste provvidenze che hanno arre­cato notevoli ed immediati benefici, anche di ca­rattere tecnico, si sentiva la necessità e la indero­gabilità di un provvedimento che consentisse di agire non nel solo settore forestale ma in tutti gli altri settori, che concorrono a determinare l’eco­nomia montana. Il concetto di bacino montano, secondo il significato corrente, doveva ritenersi superato. Ad esso occorreva sostituire un concetto più appropriato e più ampio, quello cioè di «com­prensorio di bonifica montana», afferente quelle plaghe che, a causa dei degradamento fisico e del grave dissesto economico non siano suscettibili di una proficua trasformazione senza il coordina­mento delle attività dei singoli e l’integrazione del­la medesima ad opera dello Stato.

In questa definizione, che è poi quella contenuta nel provvedimento di legge a favore dei territori montani, approvato in questi giorni dal Senato della Repubblica, viene ad inserirsi perfettamente il concetto di Bonifica Integrale, circoscritto però all’ambiente montano, allo scopo di garantire neI miglior modo l’efficacia degli interventi per esso previsti.

***

Ciò premesso, passiamo ad esaminare gli aspetti fisici ed economici di quel complesso di territorio nazionale, che per il momento continueremo a chia­mare «bacini montani». In questi territori troviamo rappresentate tutte le formazioni geologiche: dai graniti e dagli sciisti cristallini delle Alpi, Ca­labria e Sicilia, alle arenarie dell’ Emilia, Liguria e Toscana, dalle dolomie delle Alpi occidentali ai calcarei delle Alpi Apuane, dell’Umbria, Marche ed Abruzzo, alle marne delle Puglie, Calabria e Sicilia, dagli sciisti argillosi e dalle molasse alle ar­gillose mioceniche dal flisch alle argille plioceniche sparse qua e là in quasi tutto l’Appennino.

Ad un aspetto litologico già di per se stesso così eterogeneo e complesso si aggiunge una sen­sibilissima diversità climatica da un capo all’altro della penisola clima continentale nelle Alpi occi­dentali, con piogge irregolari, estati molto calde, inverni rigidi e forti escursioni termiche, clima mediterraneo in quelle orientali con piogge abbondanti, estati fresche e scarse escursioni termi­che, clima a tipo mediterraneo anche negli Appennini con precipitazioni, che da abbondanti vanno sempre più decrescendo col decrescere della lati­tudine e con estati sempre più calde quanto più ci si sposta verso il Sud e le Isole.

A parte quindi il settentrione, fino alla valle del Po, ove esistono precipitazioni estese, nell’ Italia peninsulare la distribuzione delle piogge è netta­mente sfavorevole alla vita vegetale, perchè esse abbondano proprio durante il periodo di riposo vegetativo e scarseggiano quando la vegetazione ne avrebbe maggiormente bisogno.

Sotto la spinta di una pressione demografica sempre più forte, nell’assillante necessità di ali­mentare la produzione agraria per assicurare il soddisfacimento delle più elementari esigenze delle genti di montagna, l’area occupata dal bosco è an­data sempre più contraendosi a vantaggio di quella occupata dall’agricoltura, e così il bosco, che am­mantava completamente le pendici delle nostre montagne, si è tanto ridotto che l’attuale coeffi­ciente di boscosità è appena del 33.4% per la re­gione di montagna e del 15,6% per la regione di collina. Ed il bosco così ridotto non è certo nelle migliori condizioni vegetative e di produttività. Il sacrificio del bosco sarebbe stato poi anche tol­lerabile se la coltura silvana fosse stata sostituita da una coltura agraria e pastorale razionale ed adeguatamente remunerativa.

L’agricoltura di montagna si è limitata invece ad una effimera coltura agraria di rapina e ad un eccessivo sfruttamento dei terreni pascolivi in pro­grediente degradamento, mai arginato con oppor­tune opere di miglioramento.

Questa situazione tutt’altro che lieta non po­teva non costituire la naturale premessa del de­terminarsi di un fenomeno erosivo sempre più grave.

Le acque infatti scorrendo liberamente lungo le pendici, non più trattenute da una adeguata coper­tura vegetale, raggiungono disordinatamente il pia­no trasportando materiale solido e tutto travolgen­do con il loro impeto in frenabile.

Le recenti alluvioni dello scorso autunno, che tanta sventura hanno seminato in Calabria, in Sicilia, in Sardegna e particolarmente nella pianura padana, hanno richiamato l’attenzione non soltanto dei tecnici ma anche del grosso pubblico sulle pre­carie condizioni dei bacini idrografici in genere e la stessa opinione pubblica ha individuato le principali cause dei danni nel dissesto idrogeolo­gico dei bacini montani.

Del resto una conferma di ciò si pu6 facilmente avere analizzando quanto si è verificato nel grande bacino idrografico del Po, che si estende per oltre 7 milioni di ettari.

In questo grande bacino, nel quale si indivi­duano ben 37 sottobacini o gruppi di sottobacini, l’indice di boscosità è del 20,4%, cioè pressoché identico a quello medio nazionale che è del 20,2% e ricorrono condizioni litologiche e climatiche le più svariate.

Ci troviamo qui di fronte ad un caso tipico che rappresenta la condizione media del dissesto della nostra montagna.

Orbene, da una indagine esperita dell’Ammini­strazione Forestale immediatamente dopo le rotte del Polesine è risultato che il dissesto nei vari sot­tobacini era tale da richiedere, per essere se non eliminato almeno sensibilmente attenuato, un com­plesso di opere per un importo di oltre 132 miliardi di lire, dei quali 96 per interventi immediati. 28 per interventi urgenti ma non immediati ed 8 per in­terventi dilazionati.

E di tutti questi interventi Lire 55 miliardi ri­flettono lavori a carattere idraulico-forestale. Lire 53 miliardi opere idrauliche connesse e Lire 24 mi­liardi opere di sistemazione idraulico agrarie.

È da notare che nelle zone, dove è più alto 1’ indice di boscosità, si sono riscontrati minori danni, anche se le precipitazioni sono state di maggiore intensità, mentre peraltro l’inverso è avvenuto nei sottobacini della zona appenninica emiliana dove, con precipitazioni pure di non massima intensità, i danni sono stati notevolissimi.

Le catastrofiche piogge registrate nel novembre 1951, pur non raggiungendo in varie località del bacino idrografico valori eccezionalmente ele­vati furono però talmente estese e persistenti da determinare un afflusso meteorico di oltre 16 mi­lioni di mc. È evidente che un afflusso così im­ponente, una volta superati i limiti di saturazione idrica della copertura vegetale, non poteva trovare nel bosco un integrale fattore di contenimento e di regimazione.

Ciò non toglie però che, come abbiamo accen­nato, il bosco, là dove esisteva, ha esercitato una azione di trattenuta e di consolidamento delle terre, azione che se pur noti sarà stata risolutiva nei con­fronti del meccanismo fluviale e non poteva esserlo data l’ampiezza del bacino - ha certamente contribuito a limitare localmente la portata dei danni.

L’alluvione della zona del Polesine del resto non deve considerarsi l’unica verificatasi nel bacino idrografico del Po in seguito alle eccezionali con­dizioni metereologiche determinatesi nel novembre scorso.

È stata solo la più vasta di una numerosa serie e quella che più ha colpito per l’entità dei danni arrecati. Le altre hanno direttamente interessato i bacini montani di quelle zone e in queste la gra­vita dei danni è stata inversamente proporzionale al dissesto idrogeologico esistente in ciascuna di esse.

***

Ma di quali sono dunque queste opere indispen­sabili per restituire alla nostra montagna un nor­male regime idrogeologico e conseguentemente una economia meno povera?

Innanzi tutto diciamo che esse vanno ripartite in due ordini quelle che tendono ad attenuare o ad annullare il disordine idrogeologico e quelle che tendono ad elevare il livello economico e sociale delle popolazioni montane.

Le prime saranno estensive ed intensive ed il loro scopo sarà quello di rinsaldare e consolidare le terre, di frazionare la corrivazione, in modo da rallentare il ritmo di afflusso delle masse idriche ai torrenti, di ostacolarne il moto per permettere il deposito della parte solida ed il proseguimento ai collettori di acque il più possibile chiare.

Dalle graticciate vie o morte, che consentono negli infrapiani semine e piantagioni, dalle fasci-nate, dai ciglioni inerbati ai muretti per terrazzamento, ai gradonamcnti che interrompono e modi­ficano l’acclività delle pendici.

Né possiamo trascurare di ricordare la diffusione opera di sistemazione delle pendici franose, che richiede una tecnica particolare con scoronamenti e costruzione di manufatti, per raccogliere e con­vogliare acque superficiali e profonde, per il con­solidamento.

In armonia con lo sviluppo delle opere estensive devono effettuarsi le opere intensive di correzione dei collettori tendenti al raggiungimento di un pen­dio normativo, la cui determinazione troppo spesso - per deficienza di notizie storico-statistiche e per l’assenza di un’attività sperimentale specifica si presenta irta di difficoltà.

I manufatti trasversali, gettati attraverso l’al­veo, consentiranno l’innalzamento del profilo e la protezione a monte delle adiacenti sponde e, con­seguentemente, la diminuzione di velocità delle acque, con il deposito del materiale di trasporto e di scavo.

Ove necessario e opportuno si procederà al cunettamento o a opere longitudinali di difesa di sponda.

Il rimboschimento dei terreni, destinabili a tale fine, e il miglioramento dei boschi esistenti modi­ficheranno in senso favorevole la copertura vege­tale e, contemporaneamente, permetteranno di di­sporre in un tempo più o meno lungo, di una mag­giore massa legnosa utilizzabile.

Nello stesso tempo dovremo occuparci e preoc­cuparci, nell’attuale completa visione del problema montano, della sistemazione agraria dei terreni suscettibili di tale coltura e del miglioramento dei pascoli, e ciò in funzione sia idrogeologica che tecnico-economica.

La resurrezione delle terre e il quietarsi delle acque e il quietarsi delle acque potranno pertanto far considerare definita la sistemazione solo se questa sarà completata da tutti i miglioramenti fondiari, ai quali purtroppo non è stato dato fino ad oggi sufficiente sviluppo.

***

Se queste sono le opere. quali finanziamenti sono stati finora destinati alla loro esecuzione e quali si presentano le prospettive del prossimo futuro?

Ricordiamo che tutta la legislazione forestale a favore della sistemazione dei bacini montani ha presentato costantemente una gravissima lacuna cioè la mancanza di un piano finanziario che ne assicurasse l’esecuzione sia nell’entità che nella comunità.

A ciò aggiungasi che è mancata anche un’ articolazione nel capitolo di bilancio relativo alle opere di bonifica a favore dei bacini montani.

Conseguentemente l’erogazione dei fondi per le opere sistematori è stata scarsa e frammentaria.

Infatti dal 1861 al 1922 solo 50.724.316 di lire del tempo furono destinati in bacini montani e in rimboschimenti in genere.

Dal 1922 al 1945, nonostante la legge sulla bonifica integrale, le somme erogate sempre per lo stesso titolo ammontarono a poco più di 670 mi­lioni di lire del tempo.

Nell’immediato dopo guerra la situazione per quattro anni fu addirittura catastrofica ed obbligò a una dannosissima stasi con tutte le nefaste con­seguenze non soltanto per quanto riguarda l’ese­cuzione di nuove opere ma anche per la mancata manutenzione di quelle in precedenza eseguite.

Sovvennero in minima parte i fondi U.N.R. R.A. ed E.R.P. fra l’altro localizzati ad alcune provincie, soprattutto nel meridione e nelle isole.

Un primo efficace segno di ripresa si ebbe mercè la comprensiva e lungimirante opera dcll’On. Fanfani, che allora Ministro del Lavoro, concepì la geniale legge 29 aprile 1949 n. 264 sui cantieri di lavoro e di rimboschimento, la quale, destinata precipuamente a fini economico-sociali, rilevava nello stesso tempo un altissimo significato tecnico a favore della montagna.

È stato proprio con la istituzione in un trien­nio di 4.241 cantieri di lavoro o di rimboschimento e vivai e di n. 59 cantieri di lavoro, con una spesa di ben 17 miliardi e 700 milioni che si è resa possibile la ripresa dell’attività dell’amministra­zione forestale nel campo dei rimboschimenti.

A seguito della legge 10 agosto 1950 n. 647 sulle aree depresse il centro-nord ha avuto assicu­rata per le sistemazioni montane una erogazione di 50 miliardi nel decennio 1950-60.

Nel primo anno applicativo, in ben 256 bacini del centro Nord, nei quali ricadono 443 Comuni, si eseguono per un importo di 4 miliardi e 696 mi­lioni, dei quali 2 miliardi e 463 milioni di com­petenza forestale. Analoga attività, per un importo pressoché uguale, è stata già concretata per l’eser­cizio in corso.

Ma la grande opera sistematoria si ha con la legge 10 agosto 1950 n. 646 sulla Cassa per il Mezzogiorno.

È per questa legge che finalmente si ottengono i fondi effettivamente occorrenti per la sistema­zione montana del Mezzogiorno e delle Isole.

Il primo anno di applicazione ha permesso all’Amministrazione forestale di intervenire in n. 202 bacini montani interessanti 398 Comuni, con lavori ammontanti a L. 3 miliardi e 593 mi­lioni.

Questo importo che sembrava già cospicuo, è stato elevato per l’esercizio in corso, e fino a questo momento, a circa 23 miliardi, con i quali si effettueranno lavori in 350 bacini interessanti circa 700 Comuni.

Ho detto << fino a questo momento >>, in quanto si potranno verificare quanto prima ulteriori integrazioni in dipendenza di un programma, che prevede per il decennio una spesa complessiva di 225 miliardi.

Un progresso costante e rapido, forse impen­sato ma logico, nel complesso degli interventi e nella entità di essi, che darà un nuovo volto alla montagna e che intanto assicura lavoro, e quindi pane, a schiere sempre più numerose di montanari, che a decine di migliaia lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione forestale nella certezza che per essa, come fedele applicatrice delle provviden­ze governative, avranno un domani anche migliore.

Questo progresso sarà ancor meglio e più fa­cilmente realizzato in forma organica ed unitaria con la emananda legge recante provvedimenti a favore dei territori montani, la quale, come prima ho accennato, è stata il 14 corrente approvata dal Senato della Repubblica.

Con questa legge si avrà la possibilità di con­centrare meglio in montagna non soltanto i mezzi idonei alla difesa del suolo, quale presidio indi­spensabile per la sottostante pianura, ma anche quelli occorrenti a migliorarne le condizioni economico-agrarie e fondare così il presupposto dei tanto auspicato risorgimento a novella vita della gente di montagna.

In altri termini, potrà tendersi al perfetto equilibrio tra i diversi fattori che costituiscono l’economia montana, ossia il bosco, il pascolo e la coltura agraria di montagna:

- il bosco, preminente ed insostituibile ele­mento, in un Paese montuoso come l’Italia, oltre che economico, di difesa idrogeologica, cioè di difesa delle ripide pendici montane e del piano dal furioso impeto delle acque;

- il pascolo, quale fattore economico di prim‘ordine nell’ambiente montano ed elemento sussidiario affatto trascurabile nei riflessi idrogeologici, il cui miglioramento qualitativo e quan­titativo è suscettibile di trasformare piaghe deso­late in complessi aziendali prosperi e fecondi, anche a tutto vantaggio della coltura silvana non più oppressa da un carico eccessivo di bestiame;

- la coltura agraria di montagna, quale elemento essenziale di vita del montanaro, che deve ritrarre da esso il pane e gli altri prodotti agricoli indispensabili a sé e alla sua famiglia e che, qualora conservato, protetto e migliorato, con­sentendo una più dignitosa esistenza alla popola­zione montana, potrà concorrere nell’arginare il grave fenomeno dello spopolamento della mon­tagna.

Le nuova legge, oltre a consentire la delimita­zione dei territori da considerare montani e la clas­sificazione dei comprensori di bonifica montana as­sicura un ulteriore stanziamento in favore della montagna per il decennio 1952-1961 di 77 miliardi di lire per la concessione di mutui speciali, per il potenziamento dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, per l’esecuzione di opere pubbliche di bonifica montana e per la concessione di contri­buti diversi a favore della silvicoltura e dell’agri­coltura montana.

Nell’ambito dei comprensori di bonifica mon­tana la legge conferma che sono a totale carico dello Stato le opere previste dall’art. 39 del T.U. 30 dicembre 1923 n. 3267 e dell’art. 2, lettera a) del R.D. 13 febbraio 1933 n. 215 e cioè le siste­mazioni montane.

Per l’esecuzione delle altre opere previste pure dall’articolo 2 del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, nonché di quelle intese al miglioramento dei pa­scoli montani, per le telcfcriche, compresi i fili a sbalzo, e per le opere di ricerca e di utilizzazione delle acque a scopo irriguo e potabile il contributo dello Stato verrà corrisposto nella misura dell’84% dell’importo complessivo nell’ Italia Centro-Set­tentrionale, escluse le regioni Friuli-Venezia Giu­lia, la Maremma Toscana ed il Lazio e per il 92% in queste e nelle altre regioni dell’ Italia me­ridionale ed insulare.

Per la costruzione di cabine di trasformazione e di linee di distribuzione di energia elettrica per usi artigianali e di linee ed impianti telefonici ad uso dei centri rurali il contributo sarà del 50 %.

Verranno altresì sussidiate dallo Stato anche le opere di competenza dei privati, in quanto giu­dicate necessarie ai tini della bonifica montana, quali quelle di miglioramento fondiario previste dagli art. 43 e seguenti del R.D. 13 febbraio 1933 n. 213 (esclusi i pascoli montani fruenti, come abbiamo visto, di maggiori contributi) e dell’art. 9 della legge 23 aprile 1949, nonché quelle necessarie per la costruzione degli impianti produttivi di gas di carbone o di metano biologico per le quali il contributo statale sarà del 50 %.

Per l’acquisto di fertilizzanti per le concima­zioni di fondo, di sostanza, idonee al migliora­mento della struttura fisico-chimica del terreno, di bestiame selezionato e per l’acquisto di sementi elette, il contributo sarà del 35 %.

Anche nel regime dei territori montani, esclusi i comprensori di bonifica montana, i contributi statali verranno notevolmente migliorati.

Basti pensare che il contributo per i rimbo­schimenti volontari sarà elevato al 75% e verrà corrisposto in analoga misura il contributo per la costituzione delle aziende speciali e dei consorzi per la gestione dei beni agro-silvo-pastorali dei comuni ed altri Enti.

***

Nello studio dei progetti prima e nell’esecu­zione delle opere poi si dovranno realizzare an­che in montagna tutti quei progressi, che la tecnica agraria odierna ha già consentito di consegui­re in pianura, intensificando la produzione dei pa­scoli, selezionando e migliorando le razze animali più proprie all’ambiente montano e consolidando i terreni agrari per consentire di ricavare da essi un più elevato reddito ed un maggior numero di prodotti utili.

Ed a questa realizzazione si accoppierà un intelligente e costante rilevamento di dati statistici ed una specifica attività sperimentale per avere finalmente tutti quegli elementi basilari (di cui tutti lamentano la mancanza ma per ottenere i quali sin ora ben poco si è fatto) per proseguire sicuri nell’opera di ricostruzione.

Mole grandissima di lavoro, alla quale occorre adeguare gli uomini che debbono applicare le leggi e tare in modo che le provvidenze in esse contenute diventino operante realtà.

L’Amministrazione Forestale, che tante bene­merenze ha saputo acquisire nei lunghi anni della sua attività, ha dato e darà anche in questo, prova della stia capacità, del suo entusiasmo e della sua volontà di fare e di fare bene.

Essa che da Amministrazione delle Foreste fatalmente si avvia a divenire l’Amministrazione per la Montagna e per la stia economia dovrà es­sere opportunamente modificata ed attrezzata per corrispondere in pieno ai nuovi compiti.

Già un primo provvedimento dell’On. Ministro in data 14 corr. passa alla competenza esclusiva della Direzione Generale delle Foreste tutta la materia relativa ai pascoli montani, avuto riguardo anche alla erogazione di contributi previsti dalle leggi in vigore. Non è il caso di spiegare l’ impor­tanza di tale provvedimento.

L’On. Ministro dell’Agricoltura e delle Fo­reste, il quale sa di poter contare sull’Amministra­zione Forestale e stilla competenza e disciplina dei suoi tecnici, ha voluto che un’apposita Commis­sione provvedesse allo studio, ormai in fase molto avanzata, dei provvedimenti atti a riordinare op­portunamente detta Amministrazione, la quale, non bisogna dimenticarlo, intende operare in per­fetta armonia con tutti gli altri servizi del Mini­stero dell’Agricoltura e delle Foreste per un reale potenziamento di tutta l’economia rurale del no­stro Paese.

I tecnici dell’Amministrazione risponderanno in pieno all’aspettativa. Con essi, che hanno la re­sponsabilità indiscussa della direzione e della organizzazione, collaboreranno i liberi professioni­sti, che in numero sempre più grande troveranno modo di dedicarsi alla realizzazione del programma montano e che le Università e Scuole superiori italiane educheranno, prima fra tutte la Facoltà Agraria e Forestale di Firenze, che certo dovrà ancor più specializzarsi e potenziarsi.

E con i tecnici risponderanno all’aspettativa anche coloro, che hanno il compito di sorvegliare e custodire i boschi esistenti, i nuovi rimboschi­menti, le opere eseguite, i volenterosi tutori delle leggi, i componenti cioè del settore dell’Amministrazione, che si dedica e si dedicherà esclusivamente alla polizia forestale.

Sacrificio e lavoro, ma soddisfazione di avere contribuito ad una vasta opera di rinascita. Sacri­ficio e lavoro che ne sono certo, tutti accettano volentieri perché credono nel divenire della mon­tagna italiana e intendono vivere ed operare in questa ferma fede.