I GIARDINI DI ROMA
Notiziario forestale e montano n° 125, anno 1964
Una brillante conferenza dell' Ispettore Generale
prof. D'Errico in una riunione di amici forestali
Dire del verde dei giardini, delle ville e delle vie della Città Eterna coi loro alberi e coi loro arbusti, non volendo scendere ai tappeti erbosi - sia sotto l'aspetto estetico che in rapporto all'importanza igienica e sociale, sia dal punto di vista dendrologico, dato che tali forme di vegetazione sono oggetto di quella parte della botanica riferentesi alla sistematica delle specie arboree ed arbustive - sarebbe trattazione non breve e perciò non confacente, penso, a questa particolare circostanza.
Mentre l'ambiente che ci accoglie induce per prima a ricordare, attraverso un prodotto, delizia e calore delle mense, la preziosa Ampelidacea che - presente allo stato selvatico nelle foreste dell'America boreale e adottata come mezzo di difesa nel metodo naturale di lotta contro un ben noto entoma parassita della vite nostrana - indica ai forestali, soprattutto, i limiti ecologici entro i quali possono vegetare le nostre belle conifere mediterranee, che, con altre esotiche, per essere ornamentali, concorrono ed anzi sono talvolta determinanti nel conferire incanto al paesaggio.
Credo, invece, possa riuscire assai opportuno riassumere, nei limiti più ristretti, i diversi aspetti sopra ricordati, non trascurando notizie e dati di un certo interesse specialmente per i funzionari forestali in quiescenza o in attività di servizio, residenti in Roma, i quali, nell'esercizio della loro attività professionale, furono e sono i gelosi custodi non soltanto della foresta ma anche i migliori amici dell'albero sia pure presente in combinati raggruppamenti e destinazioni varie.
Intanto sarà interessante rilevare che i parchi, le ville e i giardini principali della Capitale e del suo circondario adibiti ad uso pubblico dal 1900 al 1956 ammontano a 45 complessivamente. Essi occupano una superficie di Ha. 355.72.33 a cui è da aggiungersi quella dei 203 giardini minori e delle aiuole in Ha. 49.11.33, sicchè l'area totale ammonta ad Ha. 404.84.16 ripartita in 248 zone di verde più o meno estese. Senza contare i 1.000 ettari che misura la pineta di Castel Fusano, passata alla gestione comunale nell'anno 1933, che, sebbene tenuta distinta, rientra nella categoria dei parchi.
Merita pure ricordare che 766 sono le alberature esistenti lungo le vie, lungo i viali, nelle piazze, nei piazzali per uno sviluppo complessivo di 355.040 Km. e che la superficie di circa 405 ettari occupati dalla zona di verde, compresa nel perimetro del nuovo piano regolatore della città di Roma, raggiungeva nel 1961 appena la sessantesima parte dei 25.000 ettari che all'incirca misurava allora l'area da essa occupata, cioè con un rapporto, rispetto alla sua popolazione di 2 milioni 188.447 abitanti, di circa 5.400 unità per ettaro rivestito di vegetazione.
Se alla superficie di circa 405 ettari di parchi, di ville e di giardini principali, adibiti ad uso pubblico, si aggiunge quella dei parchi e delle ville private, valutabile pure ad altrettanta superficie di 405 ettari, ne consegue che, riducendo a metà le medie, si ha un rapporto li 2.700 abitanti per ettaro di verde, il che dimostra come si sia lontani da quelle proporzioni necessarie a soddisfare le esigenze di natura igienica e sociale indispensabili ad una metropoli, quale è oggi l'Urbe, inquinata nell'aria dai prodotti della combustione per il funzionamento delle caldaie di riscaldamento, dei motori degli autoveicoli, nonchè dalle esalazioni di qualche raffineria e degli asfalti stradali.
Non si possono, certo, raggiungere per Roma i rapporti minimi eccezionali delle zone occupate da popolamenti vegetali di alcune tra le più modernizzate città americane, quali Los Angeles, San Francisco, Boston, Washington e San Paolo: rapporti che vanno da 60 a 200 abitanti per ettaro di verde. Tuttavia, secondo gli intendimenti del Comune di Roma, si vorrebbe almeno avvicinarsi alle proporzioni indicate dalla urbanistica d'oggi, che stabilisce un numero di 500 abitanti per ettaro di verde.
Credo possa riuscire interessante accennare al fatto che da un calcolo approssimativo - non essendovi un censimento delle piante esistenti nei parchi, nelle ville, nei giardini pubblici e nelle vie alberate - è emerso che vi siano oltre 400.000 alberi e 800.000 arbusti, li cui si ha il seguente ordine nella diffusione delle specie e varietà arboree: Platano (Platanus orientalis), Pino (Pinus pinea, P. halepensis e altre), Leccio (Quercus ilex), Quercia (Quercus pedunculata, sessilis ed altre), Cipresso (Cupressus sempervirens, C. arizonica, C. macrocarpa), Eucalipto (Eucaliptus globulus, E. camaldulensis, E. amjgdalina ed altre), Olmo (Ulmus montana, U. campestre, U. americana, U. pumila), Siliquastro o Albero di Giuda (Cercis siliquastrum), Ippocastano (Aesculùs hippocastanum), Abete (sp. p., dalle nostrane alle esotiche), Spino di Giuda (Gleditschia triacanthos), Robinia (Robinia pseudoacacia, R. umbraculifera, R. semperflorens, R. monophylla, R. bessoniana), Tiglio (Tilia americana), Melia o Albero dei paterastri (Melia azedarach), Frassino maggiore (Fraxinus excelsior), Sofora (Sophora japonica), Cedro (Cedrus atlantica, C. deodara ed altre), Bagolaro (Celtis australis).
In numero limitato: Catalpa (Catalpa bungei), Acero (Acerne undo), Ailanto (Ailantus glandulosa), Gelso moro della Cina (Broussonetia papyrifera), Ginkgo (Ginkgo biloba), Paulonia (Paulownia tomentosa) , Sequoia (Sequoia sempervirens).
Tra le specie di minore sviluppo, si notano: l'Alloro (Laurus nobilis), l'Oleandro (Nertum oleander), il Ligustro (Ligustrum japonicum), l'Ibisco (Hibiscus syriacus), il Tamerice (Tamarix gallica) e, in Linor numero, il Diospiro (Diospyros sp.p.), l'Acacia di Costantinopoli (Albizzia julibrissin) , la Tuia (Tuja sp.p.), il Tasso (Taxus baccata), il Melograno (Punica granatum), a cui si aggiungono molte varietà di Prunus (Ciliegi, Peschi e Mandorli da fiore), qualche Arancio (Citrus trantium) e limone (citrus limon), nonchè diversi generi di Palme arborescenti e nane, quali, ad esempio, Washingtonia, Phoenix, Chamaerops, Eritaea, Jubaea.
Tra le numerosissime specie arbustive predominano: l'Alloro (Laurus nobilis, l'Oleandro (Nerium oleander), il Pittosporo (Pittosporum tobira), la Spirea (Spirea sp. p.), l'Evonimo (Evonymus japonicus), il Bosso (Buxus sempervirens), il Mirto o Mortella (Myrtus communis) e la Lentaggine (Vìburnum tinus).
Degna di nota, nella complessa ed estesa attività del servizio giardini del Comune di Roma, il quale dispone di oltre 7.000 mq. tra serre e cassoni vetrati e di 40 ettari di vivai, è la cura posta nella conservazione delle sue collezioni di fiori da vaso, tra cui è da ricordare quella delle 35.000 piante di Azalee, che, nella stagione adatta, contribuisce in misura cospicua a quell'incantevole ornamento floreale che si ammira lungo la gradinata della famosa chiesa della Trinità dei Monti.
Tale Ericacea è pure una nota vistosa, in contrasto col verde tenero dei tappeti erbosi delle aiuole di tante vie e piazze della Capitale, assieme a quella dei Cristantemi e dei Gladioli. Alla collezione delle specie sopra ricordate si aggiungono quelle delle arbustive e da serra, delle Cactacee e quella meravigliosa delle 1.200 piante di Orchidee che si mostrano con oltre 300 varietà nel roseto dell'Aventino, ove, con circa 1.000 varietà di Rose, costituiscono una collezione di notevole valore.
Esemplari arborei, meritevoli di essere ricordati tra la folla di piante che popolano le ville, i parchi, le piazze e le vie della città, sono: nella villa Aldobrandini, una Ginkgo biloba ed una Erytrina cristagalli; al parco Tiziano, un Fraxinus excelsior; in piazza Cairoli, una Araucaria imbricata; in via Gino Capponi, una annosa Quercus ilex; al Gianicolo, una Phytolacca dioica dell'età di circa un secolo; in via Corsini, una Magnolia grandijlora di circa due secoli; nella villa Borghese, ai giganteschi Pinus pinea si uniscono una Quercus robur del 1730 e due monumentali Ulmus montana dell'età di oltre due secoli; al Pincio, fa bella mostra di sè una Persea gratissima di notevole sviluppo, che fruttifica. Senza contare gli esemplari arborei di specie diverse che hanno la loro parte nell'insieme di bellezza in piazza Vittorio Emanuele, al Giardino zoologico, nella villa Sciarra ed in altre belle oasi di verde.
Tra gli esemplari di notevole interesse storico, ricordati da Lodovico Piccioli (1923), un tempo vegeti ed ora in parte mostrantisi quali relitti o addirittura scomparsi, si hanno: la Rovere, presso la chiesa di S. Onofrio, che rammenta il Tasso e S. Filippo Neri; le due Palme di S. Bonaventura, il dottore angelico, presso la chiesa di S. Sebastiano al Palatino, di cui una, ricordata come la Palma più alta di Roma, venne abbattuta una ventina di anni orsono da un forte temporale, mentre l'altra si trova morta in piedi; l'Arancio, il più antico che si conosca, piantato da S. Domenico nel giardino della Basilica di S. Sabina, sul Monte Aventino, ove, accanto al tronco morto della Rutacea si nota il nuovo albero riprodottosi, pare, per moltiplicazione di quello originario; il Cipresso, morto nel 1909, piantato da Michelangelo nel giardino delle Terme di Diocleziano; i Cipressi di villa Ludovisi, celebrati dal Goethe, ed altri.
Per gli studiosi di dendrologia, e comunque per gli amatori delle piante arboree e arbustive, penso che sarebbe grave omissione non ricordare l'Orto Botanico dell'Università di Roma. Esso, ubicato nel parco della quattrocentesca villa Ludovisi situata nel quartiere omonimo di Trastevere, mostra una preziosa collezione di specie indigene e soprattutto di latifoglie esotiche non comuni; purtroppo, molti esemplari in parte vetusti sono privi di etichetta col nome della pianta in quanto, nonostante si fosse più volte provveduto ad apporla, è stata inconsultamente asportata.
L'albero, nelle sue diverse specie, in forme obbligate o con portamento naturale - che appare nelle meravigliose ville dell'epoca rinascimentale in cui l'arte del giardinaggio era il complemento indispensabile dell'architettura, ispirandosi a quella antica di Atene e di Roma - è noto come sia tenuto in grande onore anche dall'architettura contemporanea nei grandi centri urbani e nei luoghi di svago e di riposo.
Pertanto può dirsi che l'albero non è solo l'eterna poesia del paesaggio, ma anche condizione necessaria per la creazione e lo sviluppo di quel turismo al quale dovrebbe uniformarsi la tecnica dei piani economici per l'utilizzazione dei soprassuoli boschivi. Cosi, al concetto di zona o fascia estetica, si dovrebbe aggiungere quello di «zona turistica» (almeno per talune aree con possibilità attuali o future) ove non mancano di accamparsi, nella stagione estiva, colonie istituite da enti civili e religiosi nonchè turisti nazionali e stranieri, corrispondendo allo stato, agli enti o ai privati proprietari dei soprassuoli boschivi, somme che superano di gran lunga il reddito ritraibile con le utilizzazioni forestali dell'area concessa al turismo; ciò avviene per le solenni fustaie delle zone montane delle Alpi e degli Appennini e soprattutto per le ridenti pinete litoranee.
E si deve proprio all'albero e all'arbusto se, nella città di Roma, possiamo oggi ammirare, inquadrate nell'armonia del verde, alcune vedute indimenticabili, quali, ad esempio, la vasca nella depressione del cavalcavia e il ricamo vegetale nel Giardino del Lago di villa Borghese, i piazzali e i viali ombrosi di villa Celimontana, in via della Navicella, la girandola dei Pini domestici di villa Paganini, la visione in controluce di villa Sciarra al Gianicolo, lo stupendo quadro del Colosseo visto dal parco Oppio, il giardino della Fontana di piazza Mazzini e il mirabile motivo architettonico del viale omonimo visto sia alla luce del giorno che a quella fluorescente della sera.
E' tutta una sinfonia di colori, di luci e di ombre che induce a meditare sulle grandi e artistiche opere create dall'uomo, ispirandosi alla natura. Cosi la foglia di Acanto (Acanthus mollis), pianta comune in tanti giardini dell'Urbe, è motivo di decorazione architettonica nei capitelli corinzio e composito; cosi la selva di colonne dei grandi templi religiosi di stile gotico, che invita al raccoglimento e alla preghiera, non è altro che la concreta ispirazione alle solenni, austere, ombrose, foreste nordiche.
Chi, in un tardo pomeriggio d'estate, ammiri il panorama di suggestiva bellezza della Città Eterna inquadrato dalle ampie chiome del Pino domestico, in consociazione armonica con quelle aguzze del Cipresso, mosse lievemente dal vento della sera alla luce di un tramonto dai colori di fuoco, mentre giunge l'eco del brusio degli assordanti rumori della metropoli, non può fare a meno di ripetere col poeta dell'allora selvaggia maremma toscana:
« Taccion... gli uomini e le cose
roseo' l tramonto nell'azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave Maria ».
PASQUALE D'ERRICO
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