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SPELEOLOGIA E IDROLOGIA NEL CARSISMO SALENTINO

NOTIZIARIO FORESTALE E MONTANO 1959 N. 67

Acqua?

Affascinante interrogativo, intimamente connesso alla speleologia, alla idrografia, al carsismo di questa sitibonda regione.

Approfondire le ricerche speleologiche nel Salentino significa anche studiarne le acque.

Dirò il perchè.

Non è nuovo lo studio dell'acqua, nè lo sono le ricerche idriche nella regione. Da un cinquantennio in qua, tale problema infatti ha vivamente interessato tutte le categorie di ricercatori, dal contadino al biologo, dall'ingegnere all'agronomo ed all'agricoltore per divenire poi il problema più assillante del Salento, acquistando importanza tale da trasferirsi, fra i più importanti del mezzoggiorno, su piano nazionale.

Si è tenuto poco conto però dello studio dell'acqua nel Salento. Si sono stese tubazioni per centinaia di chilometri per portarla sino all'estremo tallone, sin nella estrema cascata artificiale di "Finibus terrae" che rappresenta il sifone terminale delle acque captate dalle sorgenti del Sele. Si è trivellato e si continua a trivellare in lungo e in largo il nostro territorio, si sono scavati, a mano e con modernissime macchine, pozzi di varie dimensioni e profondità, sono state installate potenti motopompe con impiego di imponenti forze motrici per il sollevamento. Si sono avuti brillanti risultati nella maggior parte dei casi, ma pure si sono avute amare delusioni in altri. Si è sovente, a breve profondità, ritrovato il prezioso elemento, alcune volte è stato necessario spingere le ricerche a grande profondità, in altre circostanze non si è rinvenuto affatto.

Si è però scavato e si scava sempre con nel cuore la più riposta speranza.

Si è studiato e si continua studiare, si è persino rivolta l'attenzione ai laghi per captarne le bolle sorgive, per convogliarle a distribuirle poi (lago "Alimini-Fontanelle") e si è speso e si spendono ingenti somme in favore dell'acqua.

Privati imprenditori, agricoltori appassionati hanno persino mandato in rovina i loro patrimoni per lo scavo dei pozzi e per la ricerca a volte infruttuosa dell'acqua. Si sono avute anche amare delusioni nel rinvenirla, salata, nelle viscere di questa magra terra. Si è fatto tutto il possibile insomma, ma non è mai stato dato uno sguardo alla nostra speleologia idrica per osservare i suoi fenomeni e indirizzarli allo stadio delle acque del Salento.

Le grotte e tutti gli antri che si inoltrano nelle viscere della terra, meandri prodotti dalla lenta opera dei secoli, ricchi di concrezioni, di stalattiti e stalagmiti, per i più sono soltanto mete di gite domenicali, per altri, elementi primi dell'avventura umana che scruta la lenta opera dei secoli, per alcuni ancora retaggio di preistoria, protostoria e storia, per altri ancora senso di paura, brivido, sono vuoti ove l'ignoto si condensa e si manifesta pensieroso e sovrano.

Le più note tra le grotte del litorale salentino sono divenute meta dei bagnati, ricche di ombra per proteggersi dalla calura estiva, luoghi di sportivi oppure mondani e turisticamente accoglienti; per gli studiosi e gli scienziati rifugio di specie animali ancora viventi , di varietà biologiche ancora sconosciute, ma noi pure possiamo aggiungere "veicolo maturale delle acque del sottosuolo".

E proprio questo è il punto che mi pare degno di essere messo in particolare rilievo.

Le meravigliose grotte salentine sono quasi tutte sul mare o per lo meno, quelle che interessano la nostra ricerca, si affacciano quasi tutte nell'azzurro elemento, a guisa di enormi bocche spalancate, orribilmente maestose nel loro aspetto.

Basta percorrere la costa adriatica dal Capo di Otranto a S. Maria di Leuca per ammirarle in tutta la loro maestà preistorica.

Proprio in queste grotte possono essere completate le nostre cognizioni sui fenomeni carsici del Salento in relazione allo studio delle acque. Proprio nelle nostre grotte sul mare si può notare che le acque vi defluiscono nel loro avventuroso cammino sotterraneo disperdendosi nel mare senza alcuna utilizzazione.

Chi non conosce ormai la grotta "Zinzulusa" nel cui cunicolo terminale è ubicato quel laghetto di dantesca memoria chiamato "Cocito" ove in contrasto col nome infernale placidamente fluiscono "chiare fresche e dolci acque" di petrarchesca memoria?

Si ignorava infatti cosa vi fosse al di là del sifone subacqueo posto al termine del "Cocito", o meglio varie ipotesi si azzardavano, come spesso avviene quando si è davanti ad un mistero, ma proprio per avere avuto il privilegio di constatare "de visu", in una avventurosa giornata densa di pathos, che cosa vi è al di là, posso affermare che altri antri si addentrano nelle viscere della terra, ma anch'essi sommersi, anch'essi invasi dalle acque che non vengono dal mare, acque dolci, limpide non mosse nè turbate da millenni, alimentate dal retroterra, violate per la prima volta il 27 luglio del 1958.

Da dove provengono dunque queste acque?

E' posto l'affascinante problema sul quale vale veramente la pena di azzardare delle ipotesi di indole idrografica. Osserviamo infatti un po' le piogge ed il loro regime pluviometrico nella nostra regione condensato negli scarsi 500 mm. annui che all'incirca si riversano sul Salento e seguiamo il cammino di queste acque che fatalmente penetrano in questa limitata porzione di litosfera. Esse hanno segnato il loro destino e come tutte le piogge di questo mondo rientrano nel miracolo del "ciclo dell'acqua". Parte di esse evaporano e ritornano all'atmosfera, parte penetrano profondamente nella terra , mancando quasi in questo nostro Salento il terzo stadio del ciclo, cioè lo scorrimento di esse in superficie attraverso i fiumi, i laghi ecc., ma tutte ritornano al mare che è la loro dimora naturale, il loro "Quartier Generale", per cui il deflusso delle acque al mare in questa Regione si compie solo per via sotterranea. Ecco perchè a noi interessa lo studio dei fenomeni carsici importanti ai fini della ricerca del prezioso elemento.

Potremo perciò localizzare il fenomeno ipogeo dell'acqua determinantesi nel suo percorso, attraverso le grandi insaziabili fauci che la raccolgono, la convogliano poi nelle viscere della terra attraverso vene principali e secondarie e probabilmente anche in grandi serbatoi, restituendola infine al mare attraverso gli estremi terminali di queste grandi bocche spalancate che sono le grotte litoranee e quelle interne di raccolta.

Ecco il cielo delle acque carsiche salentine che ci consente di azzardare una nostra ipotesi fondata sulla osservazione della zona litoranea, sull'osservazione cioè di quelle acque con le quali una ventennale dimestichezza mi consente di trarre deduzioni e considerazioni.

Le enormi insaziabili bocche di raccolta sono le cosiddette "Voragini" "Vore" o "Gravi" o "Capoventi" del retroterra, mentre quelle di rigurgito sono le grotte sul mare. Tra le bocche di raccolta e quelle di rigurgito o di sfacio intercorre come filo conduttore, non privo poi di nesso logico della nostra ipotesi, il tragitto che potremmo definire per un territorio assolato ed arido come quello di Terra d'Otranto "il cammino della speranza".

E' proprio tra gli estremi di questo itinerario che bisogna ricercare, studiare e rinvenire le acque.

Non è improbabile che uno spazioso e tortuoso budello interrotto da capaci e pressochè inesauribili serbatoi sotterranei s'interponga tra i due termini del flusso e deflusso, in un ambiente ove le acque ricche di materiali in sospensione fini e grossolani si decantano, si riposano, per defluire poi lente, limpide e fresche al mare.

Come studiare, individuare, localizzare tale capace ed ideale lago sotterraneo racchiuso nei meandri carsici del sottosuolo?

L'utilità e l'ausilio, la spiegazione del fenomeno può darceli la speleologia in un campo di studi, di ricerche, certamente più interessante ed insolito che può aprirci all'orizzonte della idrologia sotterranea del Salento.

Le "vore" di Casarano, di Ruffano, di Supersano, di Presicce ecc. che raccolgono le acque di vastissimi bacini imbriferi che quasi sempre le inghiottono con sorprendente rapidità, sono certamente collegate attraverso vaste anfrattuosità, attraverso spaziosi ed ampi meandri che permettono poi alle acque di poter rapidamente defluire.

Tali insaziabili "gole", che s'inoltrano tetre e misteriose nelle viscere della terra, ci riportano al problema postoci all'inizio. Non è azzardato pensare che penetrando in esse dal retroterra si possa attraverso le anse di questo mostruoso naturale intestino geologico raggiungere gli antri aperti sul mare.

Arditissimo il cammino ed altrettanto ardita l'ipotesi, suffragata però da osservazioni non del tutto irreali.

Per ardita che sia, questa ipotesi non è da trascurarsi, nè folle la ricerca, solo che non manchi passione, buona volontà, ardimento ed attrezzatura adatta per compierla.

Occorrerebbe pertanto battere la via nuova dell'acqua con l'esplorazione delle voragini condotta con metodo e competenza allo scopo anche di evitare l'intasamento e l'ostruzione di questi inghiottitori, di queste valvole di sicurezza della Regione, tipiche del nostro carsismo che hanno determinato in anni recenti fatali incidenti e luttuose alluvioni.

La ricerca in tal senso condotta potrebbe veramente portare a risultati insperati e quell'acqua che un ingrato suolo, roccioso, arido e sterile ha relegato nelle viscere del Salento ove è gelosamente custodita, potrebbe apparire copiosa agli occhi increduli dell'insolito ricercatore.

Siamo dunque di fronte ad un aspetto interessante della speleologia, che valica i soliti orizzonti di studio e qui affianca efficace nella ricerca del prezioso elemento qui, più che altrove, indispensabile alla vita, sicura premessa per un migliore domani.

Raffaele CONGEDO