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Don Bosco

Sguardo spesso rivolto al cielo alla ricerca di una sempre nuova ispirazione; intelletto e cuore fusi in un amalgama vivo ed incessante atto a creare, organizzare e difendere, in nome di Cristo, la giustizia e la grandezza del bene.

Grandezza mai misurata «a parole», ma «a fatti», in un continuo, tenace divenire di opere concrete che ancor oggi sanno di miracolo. Miracolo non solo nel senso profondo che la fede sospinge a classificare per vie teologiche, ma nel significato più umano ed immediato di opere i cui risultati contribuirono ed offrono tuttora agli uomini immensi valori. Questo Don Bosco in una breve luce, in una sintesi, nella vita, nella storia, nella santità! Una santità che è costantemente attuale non soltanto per l'ardore perenne che ne determinò il principio, ma per la concretezza che sul piano dell'alto operare umano la contraddistinse in un'epoca di incertezze, di miserie, di ansie, seppur di eroici sacrifici. Per questa ragione non ci fu in Don Bosco retorica di accenti o passionalità spicciola, ma il vigore spirituale semplice e costruttivo dei buoni. E, quantunque non fosse eccezionalmente dotato dal punto di vista culturale, seppe esprimere e comunicare la sua verità in modo cosi convincente che essa divenne la parola d'ordine della scuola salesiana: un qualche cosa che si tradusse in continuità sincera sospingente all'azione ed al compimento dei fatti. E l'educazione, da lui concepita, non solo è di viva attualità anche ai nostri giorni, ma fu insegnamento costante a fare e, senza tendere ad una fatua sistematica, riuscì a rinvigorire le coscienze perchè lo sconvolgente dualismo di materia ed anima si traducesse, nel quadro di sostanziali e producenti disegni, in armonia. E, su questa agile, panoramica interpretazione delle cose umane, si fondò la pedagogia del Santo. E fu vera pedagogia, poichè, tralasciando ogni specifica forma metodologica, s'innalzò nel suo secolo tanto da divenire un «vessillo» che sventola ormai in molte parti del mondo ovunque sia giunto per opera dei salesiani. Come avvenne se non per volere di Don Bosco e della sua illuminata missione questo miracolo in parte umano e, nel contempo, divino? Fu la tenacia del Santo ad incontrarsi con un volere superiore; fu la sua quotidiana preghiera ad offrirgli la forza sempre crescente di nuove iniziative a vantaggio dei suoi allievi in un'epoca in cui la «mano pesante» era il massimo comun denominatore di ogni sistema educativo.

In quel tempo, infatti, solo il metodo oppressivo era seguito nell'educazione poichè si era affermata quell'influenza austriacante che, considerando l'annientamento della personalità del fanciullo come un «alto» risultato pedagogico, tendeva ad attutire in tal modo lo stridente e penoso rapporto esistente fra oppressori ed oppressi. E, se un giorno si vorrà dedicare uno studio più vero ed approfondito a figure grandi di uomini e di santi, come quelli della statura spirituale di Don Bosco, non sarà difficile scoprire quanto essi abbiano efficacemente contribuito al risorgimento nella premessa più profonda di esso, poichè non può sussistere risorgimento di un popolo senza un rinnovamento di sistemi educativi che offrano alle coscienze l'immagine edificante di libertà in connubio con una giustizia conforme al cammino ed alle esigenze degli uomini. Furono infatti le generazioni vissute nel clima degli «Oratori» a permeare di luce cristiana quelle anfrattosità liberaleggianti nelle quali alcuni uomini del Risorgimento storico, inizialmente, si ostinarono a restare annidati nel timore di perdere il pregio di una priorità. E quello che è più strano - e nella storia sa ancor oggi di paradosso - è che proprio a quel Don Bosco al quale non furono risparmiate minacce e sorveglianza politica come temuto elemento «non governativo», per la sua devozione al Papa, non debbano essere attribuiti meriti altissimi anche sul piano patriottico poichè in gran parte degli italiani, specie delle classi più abbandonate, fu proprio il Santo ad infondere un sincero amore verso la Chiesa, non disgiunto da quello per la Patria, per di più in un periodo veramente decisivo per il raggiungimento dell'Unità.

Ed allorquando Egli, recandosi da Carlo Luigi Farini, allora Ministro dell'Interno, perchè avesse disposto di porre fine alle frequenti ispezioni di polizia negli Oratori, ebbe ad incontrarsi incidentalmente con Cavour, (che da ragazzo, insieme al fratello, aveva frequentato l'Oratorio) non esitò a ricordare con fierezza al grande statista che l'italia dei giovani istruiti dai salesiani non era diversa, nell'idealità dei beni, dall'Italia in cui lo statista profondamente credeva. Fu un colloquio acceso fra i due, benchè già vecchi amici, ma nella conclusione Don Bosco, con molta semplicità, ne usci soddisfatto, poichè nelle scuole da Lui dirette non vennero mai più effettuati fastidiosi sopralluoghi da parte delle Autorità. Eppure per gli istituti religiosi era un momento difficile; per molti, in base alle leggi emanate dal Governo, ne era stata ordinata la chiusura. Fu, pertanto, la forte volontà del Santo ad impedire che il lavoro tanto faticosamente compiuto non fosse distrutto ed, al di sopra di essa, il volere divino; sempre vigile nel sostenere il farsi delle opere grandi. Ma come riuscì un uomo di cosi semplici usanze, un povero prete, come Egli stesso amava definirsi, a saper mostrare il fine al quale tendeva in un momento in cui, tra l'altro, si affacciava in Italia la «questione sociale» tra mille preoccupazioni e difficoltà di ogni genere? Molti studiosi ancor oggi propendono che motivo determinante del successo del Santo fu da attribuirsi al «miracolo». Ma, alla base del miracolo, fu esclusivamente la tenacia umana profonda ed altamente consapevole dell'opera, cui il Santo volle dedicarsi, a spezzare le catene di oscurantismo e di mediocrità che imperversarono all'insegna di un'Italia difficile, seppur in marcia verso migliori destini. Tuttavia egli, povero tra i poveri, contadino tra i contadini, consapevole delle condizioni di arretratezza nelle quali, specie le campagne, si trovavano, intuì l'importanza di quella « questione sociale» che, traendo ispirazione dalla grande rivoluzione di Francia, doveva per esigenza storica affacciarsi anche nel nostro Paese in rapporto alle situazioni di vita del popolo ed al carattere specifico di esso. Ed all'intuizione di codesto grande fatto, che più tardi si allargherà sui più ampi fronti con lotte sanguinose, Don Bosco fece seguire l'azione concreta perchè dall'assistenza cristiana verso i diseredati sorgesse il presupposto di una forza spirituale nuova, non soltanto atta a provvedere a costoro, ma utile per più giuste e cristiane rivendicazioni. E questa non fu per Don Bosco «rivolta» in senso sociale, ma inizio sicuro di un cammino verso il miglioramento e la consapevolezza sana delle esigenze: un cristiano equilibrio basato su l'alito caldo e sincero della fraternità. Per questa ragione, il significato della sua santità assunse quei profondi motivi umani che, con il volgere degli anni, la resero più vicina, non soltanto al sentimento del popolo italiano, ma anche agli altri popoli, anche se quel sentimento si dimostrò in un primo tempo sulla scala di un modesto entusiasmo. Entusiasmo che, tuttavia, ebbe manifestazioni travolgenti in occasione del viaggio che Don Bosco fece in Francia. Davanti alla casa di «Don Bosco», come i francesi vollero chiamarlo subito familiarmente, a Parigi (nel 1882) si accalcò per parecchi giorni una folla enorme di persone che lo voleva vedere; tra i privilegiati che ebbero udienza dal sacerdote italiano, un vecchio più degli altri ebbe ad esprimere la sua ammirazione: era Victor Hugo! La santità di Don Bosco lo aveva attirato.

Ma cosa aveva Don Bosco per determinare cosi intenso interesse intorno alla sua persona, d'altra parte profondamente semplice e modesta? Quali erano stati i suoi primi anni? Nato il 16 agosto 1815 in una località di Borgo Murialdo presso Castelnuovo d'Asti, gli furono imposti i nomi di Giovanni e Melchiorre. Perduto il padre Francesco Bosco, quando aveva appena due anni, restò con la madre Margherita Occhiena e due fratelli, Antonio e Giuseppe: il primo già grande, il secondo di poco maggiore di lui. I suoi primi anni furono pertanto quelli di un ragazzo che già doveva rendersi utile guadagnandosi la giornata lavorando nei campi. Forte nel corpo e di spirito sereno, ebbe il coraggio tranquillo degli esseri che sono in pace con se stessi. Coraggio che poi gli diventerà familiare e sarà il crisma della sua stessa vita: qualcosa di mistico e di irrequieto insieme che, fondendosi l'uno con l'altro, crearono in Lui l'impulso immediato della decisione e, quel che più conta, la volontà di rispondere a quell'impulso dinanzi all'immenso, eppur difficile, mare del bene. Sogni precorritori della sua missione gli agitarono la fantasia: sogni famosi quelli di Don Bosco! Immagini luminose nel buio di un inconscio che, in genere, i bambini di tutti i tempi, riescono appena a popolare di balocchi. Ma non fu tuttavia facile, come in un sogno, arrivare a dir messa povero com'era e per di più senza l'aiuto paterno e con il fratello Antonio che vituperava sulla sua vocazione. Lavorò duramente combattendo contro ogni difficoltà. Ma, se le stelle restarono immote in cielo, Qualcuno operò per alleviare il suo sacrificio: infatti il 5 giugno del 1841, nel sabato dopo la Pentecoste, all'età di ventisei anni, per le mani dell'Arcivescovo di Torino, fu ordinato Sacerdote. La mamma Margherita, che 'tanto lo aveva assistito, ne fu fiera e commossa. Avuto dal Cottolengo l'invito ad esercitare la sua missione nella Piccola Casa, oggi la più grande e miracolosa organizzazione della Carità che esista al mondo, restò colpito dall'avvincente spettacolo di abnegazione e di bene che il grande sacerdote esercitava per suoi degenti: storpi, infelici ed in genere mostri umani, allontanati ormai da tutti. L'idea di quell'abbandono però lo ispirò ad assistere altri miseri: esseri dall'aspetto normale che, se lasciati a se stessi, avrebbero potuto però fatalmente divenire pericolosi per la società civile. Non lavorò, perciò, nella Piccola Casa e cominciò a raccogliere i ragazzi abbandonati, divenendo un «costruttore di solide realtà».

Il primo giovane che trovò e che ricondusse alla fede ed alla vita si chiamò Bartolomeo Garelli. Fu per augurale e mistica coincidenza nel giorno dell'Immacolata, l'otto dicembre del 1841. I «Garelli» aumentarono, si moltiplicarono prodigiosamente e Don Bosco lavorò giorno e notte per loro creando quel meraviglioso apostolato per la gioventù, che porta oggi la voce del bene e della Chiesa di Cristo in tutti i continenti.

Nel 1850 Don Bosco predicò il giubileo non solo a Torino, ma anche a Milano ed a Monza ove, tra l'altro, prese viva parte ai lavori della prima «Conferenza vincenziana per l'assistenza dei poveri a domicilio» e fondò una Società operaia di Mutuo Soccorso. I ragazzi dell'Oratorio di Valdocco erano arrivati a settecento ed a mille quelli dei due oratori succursali.

L’epidemia di colera che colpi l'Italia nel 1854 portò Don Bosco «in primissima linea» per l'assistenza ai colerosi e con Lui, fra i «volontari», spiccò Michele Rua che fu poi il primo stimatissimo successore di Don Bosco a capo della Società Salesiana. Società che venne poi legalmente costituita la sera del 18 dicembre 1859 e di cui Don Bosco fu Rettor Maggiore. A Patrono della Società stessa fu scelto S. Francesco di Sales dal quale prese il nome di «Pia Società di S. Francesco di Sales». Le pratiche per ottenere l'approvazione degli uffici vaticani durarono parecchi anni finchè il Papa Pio IX il 3 aprile 1874 non risolse con il suo voto (il quarto voto che mancava per l'approvazione) la questione. Con lo stesso suffragio del Pontefice Don Bosco aveva intanto fondato fin dal 1871 l'Istituto delle «Figlie di Maria Ausiliatrice» (l'Organizzazione parallela ai Salesiani), dove ancor oggi vengono istruite cristianamente le bambine nei settori di ogni ordine e grado. Chiara era nel Santo l'esigenza di preparare con consapevole fervore le donne ai non lievi doveri della famiglia e della Società. Suor Maria Mazzarello, di elettissime virtù, fu la prima Superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Dopo tanto fervore di opere, la fibra del grande sacerdote cominciò a risentirne: fu colto infatti da una grande stanchezza. E fu un abbattimento fisico senza speranze: il 31 gennaio 1888 Don Bosco morì. Solenni furono le esequie ed eccezionale la partecipazione del popolo di Torino.

Il 23 luglio del 1907 Pio X, anch'Egli oggi ormai da anni salito agli onori degli altari, istruì il processo di beatificazione di Don Bosco e il 1° aprile 1934 ne venne decretata la santità: una santità che da tempo splendeva più delle stelle che, immote, avevano visto la dura fatica dell'apostolo.

Pier Antonio CORSI