La più importante scoperta batteriologica dei nostri tempi, la penicillina, appartiene a Sir Alexander Fleming, uno scienziato «silenzioso» e grande che occupa un posto di eccezionale valore fra i salvatori dell'umanità.
La penicillina, estratta da un microscopico fungo, il cui nome scientifico è penicillum notatum, è il capostipite di quegli antibiotici che hanno rivoluzionato la medicina moderna. L'adozione del farmaco per la cura specifica delle infezioni batteriche, dal 1942 ad oggi, ha dato risultati cosi sorprendenti che le persone salvate in tutto il mondo da inesorabile morte ammontano ormai a cifre straordinarie di milioni e milioni: tanti, tanti esseri umani restituiti alla vita. Tuttavia la quotidiana dinamica dell'epoca in cui viviamo raramente ci porta a pensare che forse anche noi dobbiamo molto alla benefica azione di questo farmaco. Però Fleming, pur avendo dato al mondo i frutti di una scoperta cosi avvincente ci appare un personaggio lontano, un benefattore illustre che operò per salvare gli esseri umani negli anni ancor dolorosi dell'immediato dopoguerra; quando la gente stanca ed affaticata allorchè aveva un congiunto ammalato sciorinava come motivo di speranza uno slogan coniato in quei tempi: «niente paura! c'è !la penicillina!». Ed il farmaco entrò in ogni casa sollevando rapidamente molti sventurati.
E quella stessa gente, semplice e buona, immaginò Fleming come un uomo da leggenda; specie la povera gente, profuga e sinistrata che alla periferia dei grandi centri urbani, vivendo nei disagi, era facilmente vittima di violente infezioni. In realtà però l'illustre scienziato non ebbe nulla di leggendario, schivo come fu di tutti gli onori, sempre rivolto per tutta la sua esistenza allo studio per debellare i batteri mortali, per vincere definitivamente la grande causa della vita sulla morte.
Nato in Scozia il 6 agosto 1881 da una famiglia di « uomini della terra» (i suoi coltivavano una fattoria di 800 acri), prese dal paese natio e dalla fortezza d’animo dei genitori volontà e tenacia e poichè dietro Lochfield Farm (la fattoria) si stendeva la brugheria si abituò con le rudi ed aperte visioni di essa al senso alto della natura. E la natura nella sua bellezza sempre nuova e suggestiva, senza considerazioni poetiche o di sbiadita retorica, lo rese un uomo: un uomo vero. Positivo, sicuro, povero di parole, ma profondo di ingegno. Cosi comprese a fondo la fatica di coloro che coltivano la terra, tantochè più tardi disse: «il contadino forse lavora più duro, ma conduce una vita da uomo. Non fa tutti i giorni la stessa cosa».
I suoi famigliari, semplici fitta voli non esitarono ad avviarlo alle migliori scuole, rispettosi come sono gli scozzesi dell'istruzione. Trasferitosi a Londra il fratello Tom per esercitarvi la professione di oculista, Fleming accettò un posto di semplice impiegato presso una compagnia di assicurazione. Due pe11ce e mezzo all'ora furono il suo modesto compenso! Scrupoloso in quel genere di lavoro, pur non amandolo, accolse la sorte con stoicismo e silenzio: il suo famoso «silenzio» che lo contraddistinguerà per tutta la vita! Nel 1900, allo scoppio della guerra del Transvaal, Fleming che era un valente sportivo, fu assegnato alla Compagnia H, un bel gruppo di giovani che brillavano per eccezionali possibilità sportive. Superando però numero dei volontari i bisogni del corpo di spedizione, il giovane non parti per li Transvaal e rientrò numericamente fra coloro che furono esclusi.
Morto uno zio, egli ebbe un'eredità di 250 sterline: in conseguenza, abbandonato l'impiego, su consiglio del fratello, intraprese gli studi universitari di medicina. Nella sua nuova veste non esitò a considerare con benevolenza il passato d'impiegato dal quale aveva appreso la capacità di portare a compimento le cose concrete. In forza di questa dote, ispirata ad un immediato senso pratico, superò gli altri studenti e fece emergere li suo sistema di studio basato essenzialmente sulla osservazione diretta dei fenomeni. Chiamato a collaborare presso il gruppo di studiosi guidato dal prof. Almroth Wright, batteriologo già celebre, Fleming si distinse per la passione che accompagnava ogni sua ricerca. Wright, oltre tutto, era un grande docente ed il laboratorio di ricerche da lui diretto si trovava presso l'Ospedale di Saint Mary's. E la vicinanza del laboratorio all'ospedale non fu senza significato per la vita del grande ricercatore, poichè lo spettacolo delle sofferenze umane a cui nel suo cuore, con la pietà, il desiderio vivo di trovarvi un rimedio.
Intanto Pasteur in Francia e Koch, in Germania, avevano aperto alla ricerca medica territori nuovi e immensi. Pasteur, per tutta un esistenza prodigiosa e feconda aveva dimostrato che molte infezioni, fino allora inspiegabili, erano dovute all'azione di microorganismi e che li microscopio permetteva di svelarne la presenza nel sangue e nei tessuti dei malati. Inoltre verso li 1877 la parola «microbo» era stata creata da Sédillot. Quindi a poco a poco mentre gli scienziati avevano stabilito un catalogo dei principali microbi: stafilococco, streptococco, bacillo del tifo, bacillo della tubercolosi, etc., la scuola tedesca era riuscita a mettere a punto una tecnica batteriologica: terreni di coltura, colorazione di microbi, metodo di esami.
Cosi le cause delle infezioni almeno sotto un profilo parziale, erano state esplorate. Era dunque necessario agire contro di esse. E questa lotta divenne lo scopo principale dell'attività del grande scozzese. Nel 1908 ottenne un brillante successo e fu premiato con una medaglia d'oro per una tesi relativa alle infezioni batteriche acute. Tesi che sarà poi in sostanza una prefigurazione di quella che fu la effettiva ricerca di tutta una vita. Inoltre per il nobile scopo che si era prefisso, non esitò a mettere a disposizione per gli esperimenti anche se stesso. Con una endovenosa, fatto raro e molto pericoloso per quei tempi, si fece inoculare cento cinquanta milioni di stafilococchi morti, riuscendo a scoprire, causa i gravi disturbi che accusò, come il sistema dell'inoculazione nella corrente del sangue per la cura dell'endocardite infettiva fosse invece di effetto tossico. Di temperamento particolarmente riservato e realistico, non amò mai anticipare a parole li risultato di ogni esperienza. Intanto però le sofferenze umane penetravano sempre più nell'intimo di se stesso poiché era dotato di un'anima delicata e sensibile. Capitano del Royal Army MedicaI Corps durante la guerra 1914-1918 cercò con tutti i mezzi di seguire i feriti colpiti dalle terribili infezioni cui andavano in genere soggetti. Ma per la maggior parte di essi fu costretto senza poter recare loro aiuto, ad assisterne alla morte. I microorganismi purtroppo facilmente avevano li sopravvento su quelle giovani vite. E lo spettacolo di que11a fine ancor più riuscì ad ingigantire la sua volontà di ricercatore per trovarne la causa.
Intanto il 23 dicembre 1915 durante un breve periodo di licenza, sposò la donna che divenne veramente la compagna della vita: Sarah Marion Mc Elroy. Una compagna che lo comprese senza necessità di parole e che divise le ansie della sua lunga e difficile strada. Il matrimonio in considerazione del particolare carattere dello studioso fu una profonda sorpresa per tutti. Le ricerche tuttavia continuarono e la signora Fleming fu costretta pur a.mando teneramente il marito a restare da una parte onde non recare danno agli studi dell'illustre consorte. Ebbe un figlio, oggi medico e anche lui molto stimato.
Un giorno del 1922 lo scienziato si accorse che in una provetta nella quale aveva a lungo conservato una coltura di germi, si era formata una larga zona senza organismi. Nella provetta lo studioso aveva a suo tempo posto, essendo raffreddato, un po' di lacrimazione. La zona senza organismi fu un palese chiarimento che le lacrime avevano procurato la morte dei batteri. Non fu difficile con l'aiuto di limoni determinare lacrimazioni più o meno costanti tra gli stessi componenti del laboratorio al fine di formare una certa quantità. Di liquido per proseguire gli esperimenti. Come chiamare però questa sostanza? Poichè la nuova sostanza era una specie di enzima, era necessario che il suo nome terminasse con «zima» e in considerazione del fatto che dissolveva o «lisava» (dal greco lysis, dissoluzione) alcuni microbi, fu chiamata «lisozima». Quindi una realtà. era stata raggiunta e cioè che una secrezione naturale del corpo umano era in effetti dotata di un eccezionale potere battericida. Un grande passo era stato compiuto: il «lisozima» sembrava essere davvero l'antisettico naturale, la prima difesa della cellula contro le invasioni microbiche. La scoperta era già. una interessante conclusione delle impostazioni di Fleming.
Dal 1922 al 1927 ben cinque tesi di alto livello vennero preparate dallo scienziato sul «lisozima ». Nel 1928 accettò di scrivere un articolo sugli stafilococchi.in una grande opera: «System of Bacteriology» che doveva poi essere pubblicata dal Consiglio della Ricerca Medica.
Un giorno del 1929 avvenne il fatto straordinario che lo studioso da molti anni attendeva: per la mancata riuscita di una coltura egli ebbe ad osservare che su una provetta si era formato un sottile strato di muffa. Muffa che, come si sa, altri non è che uno di quei funghi minuscoli, verdi, bruni, gialli o neri, che in genere crescono in luoghi umidi. Le «spore» più piccole formano la muffa stessa. Infatti se una di queste spore cade in un terreno favorevole, germina, germoglia e mette rami tanto da formare un'a massa simile a feltro. Lo studioso si accorse che i batteri dello streptococco, situati nella zona di quella muffa erano in parte morti ed altri tenuti a misteriosa distanza. Fu un grande momento per l'imperturbabile dotto Fleming! La scoperta diventava prodigiosamente interessante. Coltivò il penicillum in un recipiente più grande, contenente un brodo nutritivo e lasciò che qualche giorno pass'asse. Era necessario sapere se quel liquido possedeva anch'esso le proprietà battericide della muffa.. Infatti quel liquido non tardò a manifestare le tanto attese caratteristiche. Il «succo di muffa» divenne cosi una luce di speranza. Quella luce che Fleming aveva cercato ogni giorno per dare ai suoi simili la possibilità. di vincere i tremendi batteri.
Come avvenne per il «lisozima» che determinò nel laboratorio un'«incetta di lacrime» cosi accadde per la nuova ancor più importante scoperta del penicillum. Scarpe vecchie ammuffite e pelli diverse sulle quali avesse germinato qualche fungo furono ammassate in laboratorio. Dall'esperienza effettuata su un coniglio Fleming ebbe altresì modo di constatare che il «succo» non procurava effetti tossici. Cosi il «succo di muffa» fu « battezzato» penicillina.
Il 15 febbraio 1929 al MedicaI Research Club, lo studioso lesse una nota sulla scoperta. Purtroppo fu un annuncio, come avviene spesso per le cose grandi, che pochi compresero. Nessuno pose domande ed egli rimase profondamente sconvolto. Restò in piedi, impietrito dalla sua stessa timidezza e dalla fatale noncuranza degli uomini. Ma ad onta della terribile delusione continuò con amore i suoi studi nel convincimento di essere ormai sulla via giusta, considerando con l'altezza dell'ingegno e la nobiltà. del cuore che il progresso non deve giovare al ricercatore, ma alla scienza. E l'intima fede dell'uomo non andò delusa. La penicillina, era un fatto ormai accertato; ma il problema restava aperto per Fleming poichè bisognava renderla allo stato puro e successivamente poterne iniziare la fabbricazione su scala industriale. Quando e come sarebbe avvenuto il compimento di tanti studi? La risposta venne da Oxford nel 1940 dove un gruppo di chimici, guidati da Florey e Chain riuscirono ad impedire l'evaporazione della penicillina, cosa che aveva rappresentato per lo scopritore la più grande preoccupazione. I chimici ci riuscirono ricorrendo ad un processo di «liofilizzazione ».
Un processo, in base al quale le sostanze, come avviene per il plasma sanguigno vengono conservate; a mezzo di tale processo la sostanza venne formata in una polvere simile a cristalli salini. (Il metodo che fu poi adoperato industrialmente fino al 1946).
Intanto il mondo, sconvolto dalla guerra ignorava che quasi per una misteriosa legge di compenso mentre tanti uomini morivano tanti altri un giorno sarebbero stati salvati dal portentoso rimedio. L'industria europea che aveva dovuto subire per forza di cose l'influenza del conflitto si trovò impreparata a lanciare come l'urgenza esigeva, il prodotto su vasta scala. Gli Stati Uniti però che possedevano attrezzature più adeguate diedero inizio per primi all'utilizzazione del nuovo farmaco e la fama del prof. Fleming dilagò in tutto il mondo. I casi di miracolosa guarigione dopo l'uso della penicillina cominciarono a moltiplicarsi e la gloria raggiunse lo scienziato da ogni parte. Gli furono conferite lauree dalle più importanti Università e atte stazioni di merito di alto valore internazionale. Egli però, premio Nobel nel 1945, in mezzo a tanta gloria restò una persona estremamente semplice, tranquilla e silenziosa. Schivò sempre i clamori della cronaca tanto che allor quando ebbe ad intraprendere, su invito dei Governi, viaggi nei diversi Paesi per inaugurare centri di studio e stabilimenti poche righe apparvero sui quotidiani per annunciare il suo arrivo. E nelle dichiarazioni ufficiali fu sempre breve, riservato e modesto. Di una modestia tanto eccezionale che, pur avendo impegnato e rischiato una intera vita nella lotta contro i batteri delle malattie infettive non esitava ad ammettere di aver trovato esclusivamente per frutto del caso il «mezzo» per abbatterli. Nel 1955 lo scienziato mori; ed anche in quella circostanza il mondo restò nell'impressione che se ne fosse andato «in punta di piedi», in silenzio, così come ad onta della gloria raggiunta aveva voluto vivere. Però ancor oggi quando si vede specie un bambino sfebbrare rapidamente e guarire in pochi giorni da una infezione il cui esito sarebbe stato molto incerto, si è portati la pensare che Fleming sia ancora vivo;! perchè «vivo» è l'uomo allorquando l'opera da lui compiuta si rinnova costantemente per la salvezza od il bene crescente dei suoi simili.
Pier Antonio CORSI
Vale la pena di vederlo più da vicino questo «grande della storia». Giulio Cesare nacque intorno agli anni 100 a.C. da famiglia patrizia (gens Julia) discendente, da parte di padre, direttamente da Venere. Origine quindi divina.
In quel periodo Roma, oltre alla penisola italiana, dominava in pratica tutto il bacino del Mediterraneo.
Infatti ad ovest ed al nord aveva conquistato la penisola Iberica (Spagna e Portogallo) e le Gallie (Francia - Lussemburgo - Belgio e Olanda). Ad est domina va tutta la costa dalmata, la Grecia e l'Asia minore. A sud aveva sotto di sé la fascia costiera dell'Africa settentrionale compresa fra la Tunisia ed il Libano, fatta eccezione di una zona corrispondente presso a poco all'odierno Egitto.
Roma in tal modo poteva controllare tutto il traffico che si svolgeva nel Mediterraneo.
Fin da giovane Cesare, per la sua illustre e divina ascendenza pose la candidatura alle cariche pubbliche incontrando però le prime difficoltà, i primi scontri, le prime disillusioni che lo portarono a collezionare nemici su nemici.
Cesare però si sapeva abilmente destreggiare fra patrizi e plebei non disdegnando di schierarsi apertamente a favore di quest'ultimi, quando, per scopi politici, lo riteneva opportuno. Questa grande abilità lo portò subito a ricoprire la carica di pontefice; carica non di rilievo ma di prestigio in quanto sovrintendeva a tutte le manifestazioni religiose curava li calendario, fissava giorni festivi, consacrava i templi, presiedeva ai sacrifici, compilava l'elenco dei magistrati in carica ogni anno e curava la cronaca degli avvenimenti.
Dopo un soggiorno in Oriente, ove ebbe modo di distinguersi in diverse avventure militari, guadagnandosi la più alta onorificenza (corona di foglie di quercia), Giulio Cesare ritorna a Roma ove nel 69 A.C. a soli 32 anni venne eletto questore. Questa nomina in pratica gli apriva le porte del Senato. Tre anni dopo, a 35 anni, venne eletto «Edile curule» cioè sovrintendente all'urbanistica ed alle cerimonie pubbliche. Con tale carica Cesare seppe accattivarsi le simpatie. del popolo organizzando fastosi giochi pubblici che rimasero memorabili. Questa accorta politica gli valse successivamente la elezione. a Console con una legge speciale approvata direttamente a popolo al di fuori del Senato.
E' proprio in questo periodo che lo stesso Senato gli conferì l'ufficio pubblico di «Sovrintendente ai boschi ed ai sentieri».
Ma vediamo quali erano le attribuzioni di quest'ufficio che certamente rivestiva notevole importanza avendovi destinato un Console!
Ai tempi della Roma imperiale l'estensione dei boschi era ben più vasta di quella attuale. Le foreste rivestivano la maggior parte del rilievi spingendosi fino a valle ove talora raggiungevano le coste.
L'importanza dei boschi era ben nota agli antichi romani tanto che per molti di essi, che esplicavano particolari compiti, era stato imposto un vincolo severissimo: quello religioso. Infatti erano dichiarati sacri quei boschi che proteggevano sorgenti d'acqua, quelli che segnavano i confini fra Stati, città e proprietà e quelli che correvano lungo le vie consolari.
Coloro che arrecavano danni ai boschi dichiarati sacri, commettevano atto sacrilego e quindi erano puniti molto severamente. Dalla pena pecuniaria si arrivava a quelle corporali e per i reati più gravi era prevista perfino la pena di morte.
Ciò sta a significare l'importanza che a quei tempi si dava ai boschi. Non è dato sapere se questa importanza era basata su approfondite conoscenze di problemi idrogeologici. E' da ritenere però che quest'ultimi problemi non sussistessero data la grande estensione delle foreste, in rapporto alla popolazione, che di per sé assicuravano la stabilità dei versanti e delle terre.
L’importanza dei boschi era quindi di natura economica ma soprattutto di natura militare.
Dai boschi infatti proveniva tutto il materiale necessario all'armamento delle flotte e Roma di flotte ne aveva estremo bisogno poichè su di esse erano basati il predominio marittimo ed i traffici commerciali in dispensabili alla opulenta e doviziosa vita romana di allora.
La distruzione di un bosco, pertanto, poteva rappresentare un duro colpo per la perfetta ed efficiente macchina di guerra sulla quale si basava tutta la potenza di Roma imperiale. Da ciò la necessità per il Senato di affidare la responsabilità della vigilanza forestale a persona altamente qualificata, che aveva da to prova, in precedenti incarichi pubblici, di notevole capacità organizzativa. E Cesare assolse egregiamente, come ,del resto era nel suo carattere, questi compiti per lui nuovi e tanto diversi da quella che era la sua vera innata vocazione di condottiero. Lo troviamo infatti, poco dopo, in Gallia come Governatore della Gallia Cisalpina, dell’Illiria e del Narbonese. In quelle zone il futuro dittatore sarebbe rimasto per ben nove anni.
lndubbiamente Cesare non ha lasciato, nella carica di sovrintendente ai boschi ed ai sentieri, l'impronta del suo genio come l'ha lasciata nell'arte militare, nelle lettere e nella politica anche per la breve durata dell'ufficio pubblico. Ma il solo fatto di aver ricoperto, seppur per breve tempo, tale incarico, dà a noi forestali di oggi un senso di legittimo orgoglio e di maggiore senso di responsabilità sapendo di aver avuto come collega un così illustre personaggio.
GUIDO BERNARDI |