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Gian Giacomo Rousseau

Gian Giacomo Rousseau, il cui pensiero di sociologo e pedagogo ha esercitato ed esercita un particolare «fascino», nacque a Ginevra il 28 giugno 1712. Infatti, come il «Contratto Sociale» segna una pietra miliare nella storia delle idee politiche, l'altra sua opera «L'Emilia o dell'educazione», trattando profondamente i problemi dell'insegnamento, ispira e sospinge concezioni nuove che, ancor oggi, sono di vivo interesse.

Il vuoto lasciato gli dalla madre, morta in parto, segnò in modo decisivo la vita del pensatore conducendolo ad amare e continue esperienze. Insorse cosi in lui, per quegli evidenti contrasti dell'umano carattere, l'esigenza del problema educativo e successivamente di quello sociale ai quali dedicò la sua esistenza di studioso. Un'esigenza che non solo sarà direttamente proporzionale alla capacità di un forte ingegno, ma sarà in continuo rapporto alla sensibilItà del suo temperamento. Ovunque, infatti, Egli cercò ansiosamente il riflesso dell'amor materno: nel mondo che ebbe a circondarlo ed in particolare nell'infinIta bellezza della natura e negli umili. Le commozioni e le tenerezze non vissute tornano nelle sue opere non come frutto di sbiadita retorica ma spesso sorrette da un puro slancio, non prive d'intellettualismo, ma sempre agili ed in perfetta rispondenza alla dinamica del suo pensiero. E, se la mancanza dell'afflato materno lo porterà agli affanni ed alle ansie della ricerca che sfocerà, specialmente nella giovinezza, in fantasticherie e vagabondaggi, l'intimo desiderio di un focolare lo condurrà, invece, a considerare il valore umano e sociale della famiglia come essenza di più vasti agglomerati e dei popoli. E da quelle considerazioni scaturirà la condanna dei costumi del suo tempo unitamente alla ribellione contro ogni forma di oppressione nell'educazione e nella società.

Da qui il suo ritorno sincero alla natura come creazione ed espressione del divino, dalla quale soltanto risorgerà l'uomo nuovo, colui che potrà conciliare la sua libertà nella superiore visione dello Stato, come organo propulsore di libertà. E dall'incontro di queste libertà, che nel pensiero di Rousseau sono sintesi filosofica, nasce, vive e si perpetua l'ideale democratico: quell'ideale che fece del grande Uomo il precursore della democrazia moderna.

Sulla scia di quell'ideale, però, ormai affermato da innumerevoli studi monografici, ogni trattazione appare fredda e senza vita allorchè si pone di contro all'opera stessa di Rousseau. Infatti chi voglia approfondire la lettura di quest'opera e veda nascere da essa la concezione dell'uomo, del pensatore, dell’artista Rousseau, non potrà non sentire quanto quell'astratto schema che solitamente si presenta come la «dottrina del Ginevrino», sia insufficiente a contenere l'intima ricchezza che effettivamente si apre, si sviluppa e s'ingrandisce dinanzi al lettore. Appare inoltre, più che una salda e compiuta dottrina, un movimento - sempre rinnovantesi del pensiero - di tale forza e passione che non concede la possibilità di rifugiarsi nella quiete della contemplazione storica «obiettiva». Infatti la forza con la quale Rousseau ha agito nella sua epoca come pensatore e scrittore e fondata in sostanza nell'aver posto davanti alla vita di un secolo, che aveva portato ad un'altezza mai raggiunta la cultura della forma e le aveva dato perfezione ed interiore compiutezza, tutta l'intima problematica del concetto stesso di forma.

Il XVIII secolo, nella sua poesia come nella filosofia e nella scienza, si adagia in un mondo formale ed in esso sente fondata la realtà delle cose. Rousseau è il primo fra i pensatori a scuotere questa sicurezza demolendola dalle fondamenta. Egli nega ed abbatte nell'etica e nella politica, nella religione, nella letteratura e nella filosofia tutte le «forme fatte» che incontra rischiando di veder ripiombare il mondo nel suo stato originario: nel caos! Ma dal caos s'innalza la sua potenza creativa: un moto animato da nuovi impulsi e generato da forze nuove. Alle basi «statiche» del suo secolo Egli contrappone cosi la «dinamica» del suo pensiero non mirando al fine, ma all'impulso ch'è nel suo intimo e profondo valore porterà all'elevazione. In altre parole, non sarà la meta con i suoi elementi spesso utilitaristici, ma la potenza, per così dire, del «ritmo di marcia» ad attirare ed a sostenere l'Uomo nel suo faticoso cammino verso valori più alti.

Per questa ragione, a nostro modesto avviso, esiste a tutt'oggi aperto e vitale sul piano filosofico e sociale il «problema Rousseau» dal quale si muove e si agita quell'attualità sempre crescente del suo pensiero per la quale, a giusto motivo, le premesse da lui formulate sono considerate le basi di una moderna concezione politica.

Basi dalle quali non è avulso il problema religioso sia per l'influenza della fede calvinista in cui crebbe il pensatore, sia perchè eminenti studiosi non vennero meno di fronte al paradosso di inserire il sentimento e l'atteggiamento religioso di Rousseau addirittura nella sfera del Cattolicesimo. Infatti esiste un nesso reale, effettivo e forse troppo lungamente disconosciuto non solo tra Rousseau e la religione, ma tra Rousseau e la fede cattolica. E' innegabile inoltre che, allontanandosi dalla cerchia degli Enciclopedisti francesi impegnati nell'esaltazione della «ragione», Egli - in contrasto a quest'ultima - abbia piuttosto fatto vivo richiamo alle forze del sentimento e della coscienza. Nel libro quarto dell'«Emilio», nella famosa professione di fede del vicario savoiardo la sua affermazione è chiara ed indiscutibile: «Ed ecco il mio primo principio - dice. – Questo è il mio primo dogma o il mio primo articolo di fede». Ed in altra parte dello stesso brano: «Il dogma che ho enunciato è oscuro lo sò; ma almeno ha senso e non ripugna alla ragione né all'osservazione può dirsi altrettanto del materialismo?».

«Non è chiaro che se il movimento fosse essenziale alla materia sarebbe da questa inseparabile e ci sarebbe sempre nella stessa misura e sarebbe sempre lo stesso in ogni porzione di materia e sarebbe sempre incomunicabile e non potrebbe aumentare o diminuire?». Così si esprime nell'intento della sua ricerca finchè torna ad affermare la esigenza di un'intelligenza suprema, regolatrice dell'universo. Ma, purtroppo, il bisogno dell'Essere che potrebbe essere il primo slancio del pensatore verso il concetto di fede, nasce come elemento, a sua volta, scaturente dalla ragione; questa ultima però tende a predominare sul divino vietando la possibilità d'incontro. Ma ciò non esclude, come abbiamo detto sopra, che esistano in Roussea u almeno i presupposti di una religione che, oltre a distinguerlo chiaramente dagli enciclopedisti, possa avvicinarlo ad un umanesimo di chiara ispirazione cristiana. Paradosso? Potrebbe essere. Tuttavia, già da un trentennio, questa possibilità, «paradossale» quanto si voglia, veniva riferita da autorevoli studiosi come il Cassirer perchè? Perchè, al di sopra di specifiche analisi filosofiche, in Rousseau emerge quel suo «divenire dell'amore» che non può non avvincere e, in sostanza, non essere il fulcro della sua non meno attraente dinam1ca. E cosa è quest'ultima, in termini più traducibili, se non l'essenza della vita come realtà sempre nuova e più vera che ispira oggi tutta la pedagogia moderna e che la indirizza perchè produttivamente conduca il fanciullo ad una esistenza concreta e strettamente vitale oltre sterili e «patetiche» passionali agitazioni? Ecco il motivo che ci induce inoltre a vedere Rousseau precursore effettivo di quella educazione negativa (perchè nega l'educazione come oppressiva adozione di metodologie diverse) fondandola invece nell'idea altamente umana della libertà della quale il maestro diviene valvola di avviamento e, nel contempo, di incessante propulsione. Una valvola però che, in concreto, è un cuore pulsante d'amore. Un amore che spazia, si infonde nell'universo e nella natura; della cui bellezza rendendosi l'allievo vieppiù consapevole ne agita e sospinge l'anima «ad egregie cose»; fuori di ogni romantico richiamo, ma nell'essenza e nel vero di quella bellezza. Una bellezza che del resto avvinse il Rousseau, uomo e maestro, e trova ancora eco nelle splendide visioni della natura della sua terra: la Svizzera! E di quest’ultima Rousseau fu il primo scopritore!

Ed anche se da quella terra parti la condanna dell'opera dello scrittore, perchè considerata rivoluzionaria, mai Egli, fiero di aggiungere al suo nome il titolo di cittadino di Ginevra, venne meno dal considerare come un ideale le patrie istituzioni e le virtù dei Confederati. Le stesse vicende del suo romanzo «La nuova Eloisa», che commossero tutta la società di quel tempo, si svolgono sulle rive del lago di Lemano.

Non a caso, quindi, proprio la Svizzera ha voluto, in occasione del 2500 anniversario della nascita del pensatore, che il 1962 fosse considerato «l'anno di Rousseau». Un deliberato che, celebrando il genio dello scrittore, sa quasi di consacrazione nella sobria e solenne intensità del fine: perchè celebrando i grandi si offro un contributo al cammino degli uomini, verso il progresso. Un qualcosa che, senza appesantire, sappia, sostanzialmente, di richiamo: e sospingendo alle bellezze ed alla schiettezza della natura, come una pastorale natalizia, conceda all'uomo moderno, molto spesso - reduce da difficili vicende quotidiane, una sfera di serenità e di libertà. Un momento di distensione nel «vero» di cui tutti oggi abbiamo bisogno. Un momento, infine, nel quale anche le persone più incolte possano capire Rousseau nella sua più intima e semplice essenza: in una sintesi di sole, panorami e costumi dove l'uomo, senza patetiche o turbamenti, possa ritrovare se stesso e rinnovarsi in una concretezza tutta moderna della vita, ispirata però da solide premesse spirituali.
Pier Antonio CORSI